Berlino non invierà altre armi a Kiev. Almeno per il momento. A dirlo è il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius, secondo cui la decisione non ha nulla a che vedere con il sostegno della Germania all’Ucraina, piuttosto è conseguenza di un dato oggettivo: gli arsenali tedeschi vanno svuotandosi. “Come altri Stati – ha dichiarato il ministro al quotidiano Die Welt – abbiamo un inventario limitato”, ovvero ormai il poco che rimane serve alle forze armate tedesche.
Forze armate che di per sé non versano in condizioni di salute particolarmente floride. La scarsa capacità operativa del complesso militare tedesco – con un parco mezzi efficiente solo in minima parte e con seri problemi di reclutamento – è cosa nota da tempo, almeno per gli addetti ai lavori, ma certo stride con l’idea della svolta epocale annunciata dal cancelliere Olaf Scholz in campo militare all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina.
L’annuncio di stanziamenti straordinari per la messa in efficienza ed il potenziamento della macchina militare tedesca sembrava dover risolvere ogni problema, invece si è rivelato essere materia utile solo a roboanti titoli di giornale. Così come l’intenzione di dedicare al comparto difesa il 2% del pil.
Già nei mesi scorsi erano venuti al pettine i primi nodi, come più volte evidenziato su queste pagine. Nell’intervista a Die Welt di Pistorius l’ennesima conferma: il traguardo del 2% del pil resta ancora un obiettivo da raggiungere (nel 2022 si è arrivati all1,5%), mentre per colmare le carenze di cui soffrono le forze armate tedesche bisognerà attendere il 2030.
Ancora una volta tocca sottolineare come (ri)fare un esercito non sia solo questione di soldi, ma anche di visione e mentalità. Dopo trent’anni trascorsi a cullarsi nell’illusione dell’avvento di un mondo post-storico (illusione che la Germania ha condiviso, e in parte ancora condivide, con gli altri Paesi dell’Europa occidentale), dunque della sostanziale inutilità di forze armate che fossero poco più che una robusta gendarmeria, immaginare di colmare rapidamente il gap stanziando qualche miliardo di euro era pura illusione.
Anche perché, come sta dimostrando il conflitto in Ucraina, la produzione industriale necessità di tempi lunghi per fornire sistemi d’arma sempre più complessi e costosi, così come occorre trovare gli uomini necessari ad utilizzarli, in Paesi in cui il servizio militare non rappresenta una carriera particolarmente attraente.
L’esercito tedesco, per di più, si è rivelato particolarmente permeabile ad infiltrazioni di gruppi politici di destra o comunque “attenzionati” dai servizi segreti. Ultimo caso in ordine di tempo il progetto golpista dei Reichsbürger, preceduto qualche anno fa dallo scioglimento di un reparto speciale per sospette simpatie neonaziste.
Più di tutto, però, occorre poi la determinazione politica ad impiegare sul campo lo strumento militare di cui si dispone. Una determinazione che ad oggi, nella “vecchia” Europa, solo Parigi e Londra – forti del proprio retaggio imperiale – sembrano possedere.