Oltre 3500 volontari pronti a combattere il virus riscattano l’immagine di un Paese senza guida
La trionfale dichiarazione di Di Maio che sono finalmente giunte dalla Cina 6 milioni di mascherine rievoca grottescamente gli otto milioni di baionette di mussoliniana memoria, quando si cercava di nascondere con slogan roboanti la drammatica impreparazione militare dell’Italia. Probabilmente il suo è stato un annuncio fatto soprattutto per rassicurare un Paese avvilito, assetato – come non mai – di buone notizie però a lui, ovviamente, sfuggono le principali implicazioni.

Se siamo ridotti ad aggrapparci per avere speranze all’invio, dopo settimane che subiamo la piaga del contagio, di mascherine (che andranno, ovviamente pagate) provenienti dall’altro capo del mondo si deve alla drammatica impreparazione in cui è stato lasciato il Paese.
Nonostante l’imminenza del contagio, mentre taluni si baloccavano tra aperivirus, abbracci contro il razzismo, pranzi al ristorante cinese e passeggiate a Chinatown, non sono state create infatti neppure le minime scorte indispensabili di materiale sanitario. Eppure la possibile adozione di misure emergenziali era già prevista (ma non è stata colpevolmente attuata dal Governo) sin dal 31 gennaio, come indicato dalla Gazzetta Ufficiale. Si sono perse settimane preziose che paghiamo oggi in vite umane persino per reperire camici e tute anticontagio per proteggere i sanitari.
Se siamo costretti a rivolgerci alla Cina inoltre è perché tanti Paesi europei e non, ci hanno chiuso e porte in faccia o, addirittura, bloccato l’invio di merci strategiche dirette a noi, ordinate e pagate, in barba a qualsiasi dovere di solidarietà o anche solo alle regole di quel ‘libero mercato’ sempre evocato a nostro danno.
Se Giuseppi e Giggino, insieme alla resto della banda di dilettanti che ci governa avessero perlomeno agito con un po’ di oculatezza non dovremmo scontare le conseguenze dovute alla carenza di strumenti atti a contenere la trasmissibilità del virus anche solo tra i sanitari.
La drammatica conta parla, infatti, di 51 medici morti di coronavirus e di 6414 contagiati tra il personale infermieristico (la cui età media, secondo l’ISS, è 49 anni). Se questi rappresentano infatti il 9% del totale delle infezioni segnalate in Italia (circa trecento solo agli Ospedali Civili di Brescia) non si può certo semplicemente pensare che questo sia dovuto a una loro personale sottovalutazione dei rischi, quanto invece a una carenza di strumenti atti a preservarli dal contagio.
Pur consapevoli dei drammatici limiti di chi li amministra la risposta degli italiani parla però anche di coraggio civico e slanci di solidarietà. Nonostante i pericoli sottolineati dai numeri ne falcidiano i ranghi, infatti, accanto a medici e infermieri in prima linea a combattere il virus, sono giunte già oltre tremila e cinquecento candidature per coprire le cinquecento posizioni da infermieri volontari necessarie per la creazione dell’Unità infermieristica per il Covid-19 prevista da un tardivo Bando della Protezione Civile.
Parafrasando le parole del Papa che, in una piazza San Pietro deserta per l’emergenza Coronavirus, nell’Angelus di venerdì 27 marzo ha lanciato la sua invocazione: “Signore non lasciarci in balia della tempesta” il grido di dolore degli italiani potrebbe essere solo: “Signore non lasciarci nelle mani incapaci di Giuseppi”.
Si ripropone il vecchio adagio di Francia e di Spagna purché se magna.