Per molti di noi, ragazzi degli anni ’70, Julius Evola è il mito politico culturale per eccellenza, un punto di riferimento intellettuale imprescindibile per chi allora (e anche dopo) faceva politica a destra e si ritrovava schiacciato dalla dittatura culturale marxista, pesantissima e soffocante, e dall’arroganza dei suoi rappresentanti, oggi quasi tutti ridimensionati e/o dimenticati.
Finita quell’epoca, svanite nel nulla le illusioni del marxismo con tutto il bagaglio pseudo culturale che si portavano dietro, oramai solo un reperto inservibile ed imbarazzante, anche il mito di Evola è oggi maturo per una inevitabile rilettura dalla quale, però, a differenza di quello che è capitato agli autori marxisti, il barone solitario emerge come un gigante.
Come dice Gianfranco de Turris è ora che la figura di Evola esca definitivamente dai limiti della militanza politica per essere consegnata, pienamente e definitivamente, alla cultura italiana.
Il che non vuol dire, ovviamente, rifiutare la valenza politico-ideologica del suo pensiero ma solo comprendere appieno il peso e la reale importanza di una figura complessa e poliedrica, unica nel panorama del pensiero del ‘900.
Un interessantissimo spunto in questa direzione ce lo fornisce la bella mostra “Dada 1916. La nascita dell’antiarte” inaugurata pochi giorni fa a Brescia al Museo di Santa Giulia e aperta fino al 26 febbraio 2017.
Il movimento dadaista, fondato 100 anni fa, il 5 febbraio 1916, al Cabaret Voltaire di Zurigo, si proponeva la radicale contestazione e demolizione di qualsiasi forma espressiva preesistente, non solo nella pittura ma anche nella parola e nella musica. Aveva affondato le sue radici nel simbolismo di fine ‘800 per poi ritrovarsi in simbiosi con le principali avanguardie artistiche dell’epoca, dal Futurismo italiano all’avanguardia russa, dallo sperimentalismo francese dei primi del ‘900 sino all’espressionismo tedesco.
Tutti movimenti decisi a rivoluzionare la cultura e le forme di espressione in un periodo storico che aveva visto crollare, a suon di cannonate, tutti gli equilibri – storici, politici e sociali – del continente europeo.
La mostra racconta questa interessante e singolare vicenda artistica, in Italia non troppo conosciuta, con un efficace allestimento di 270 opere e documenti originali suddivisi in quattro sezioni tematiche:“Dada prima di Dada”, “Dada, Zurigo e il Cabaret Voltaire”, “Arte e filosofia Dada” e “Oltre Dada” in cui ritroviamo una completa ed esauriente panoramica sia dei movimenti culturali contemporanei a Dada, sia degli autori che vi furono in qualche modo coinvolti a partire dal 1916 sino alla fine degli anni Venti: Hugo Ball, Tristan Tzara, Max Ernst, Marcel Duchamp, Man Ray, Francis Picabia, George Grosz, Otto Dix, Hans Arp, Arthur Segal, Hans Richter, Hannah Höch, Marcel Janco, Richard Huelsenbek, Sophie Taüber-Arp, Paul Klee, Kurt Schwitters, Lázló Moholy-Nagy, Theo Van Doesburg, Viking Eggeling.
Tra gli Italiani i futuristi, forse i principali ispiratori del movimento Dada, con Filippo Tommaso Marinetti, Giacomo Balla, Fortunato Depero, Enrico Prampolini, Francesco Cangiullo, Gino Galli, Carlo Erba, ed i metafisici Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis e Carlo Carrà.
Oltre, naturalmente, a Julius Evola, ovvero il più importante artista dadaista italiano.
Di lui troviamo (finalmente) esposti innanzitutto due capolavori del periodo futurista: Five o’ clock tea (1916-17) e Fucina, studio di rumori (1917-18) nei quali risulta già evidente, pur nell’adesione alla poetica ed all’estetica del Futurismo, la ricerca di astrazione e la prefigurazione della pittura idealista e psicologica che caratterizzerà le sue opere nel dopoguerra.
La pittura, come d’altra parte tutta la sua ricerca intellettuale, è per Evola un continuo studio di forme espressive “più propriamente nuove e spirituali”; è su questo terreno che matura la sua rottura con il Futurismo e l’adesione ufficiale al Dadaismo, avvenuta tra il 1919 e il 1920 dopo un intensa corrispondenza con Tristan Tzara, il poeta rumeno fondatore del movimento.
Grazie ad Evola il Dadaismo penetra in Italia confrontandosi, a volte anche in modo conflittuale (vedi la traumatica rottura col Futurismo), con gli altri movimenti artistici nazionali ed influenzando fortemente per molto tempo l’ambiente culturale dell’epoca.
In esso Evola trova finalmente la possibilità di esprimersi secondo canoni totalmente immuni da logica e razionalità che gli consentono di manifestare la propria totale libertà interiore portando la sua arte a quella completa astrazione che chiamerà “astrattismo mistico”.
E’ di questo periodo la famosa serie dei “Paesaggi Interiori”, di cui è esposto a Brescia un interessante esemplare.
Il periodo dadaista di Evola è molto intenso ma molto breve; entrato in una profonda crisi interiore –“attualmente, mi accorgo che non c’è più nessuno nel teatro, che tutto è inutile e ridicolo, che ogni espressione è una malattia”, scrive nel 1922 a Tristan Tzara – decide di porre fine alla sua vicenda artistica a favore della ricerca filosofica.
Dopo il 1922 abbandona la pittura e torna suoi studi di filosofia continuando, però, a vedere nel Dadaismo una tappa fondamentale del pensiero moderno.
INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
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Tel. 030.2977833-834
santagiulia@bresciamusei.com
Giorni e orari di apertura
Dal 2 ottobre al 26 febbraio
Da martedì a domenica (chiuso tutti i lunedì non festivi):
Da martedì a domenica dalle 9.30 alle 17.30
Eccezionalmente SABATO dalle 9.30 alle 19.00