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Giulio Tremonti/ La globalizzazione è fallita. Amen

di Redazione
8 Febbraio 2023
in Rassegna Stampa
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Giulio Tremonti/ La globalizzazione è fallita. Amen
       

Professor Giulio Tremonti, cosa differenza la globalizzazione dagli altri periodi storici?

“Normalmente i fenomeni a rilevanza storica sono iscritti in un tempo mediamente lungo. La lunga durata è, infatti, l’unità di misura della Storia. Nel caso della globalizzazione c’è stata, invece, ed è straordinaria, una asimmetria iscritta in un tempo storicamente breve: un fenomeno ad altissima intensità, con una intensissima mutatio rerum, iscritta in un tempo storicamente breve. Molto breve: dal 1989 al 2016.”

Nel 1989 cade il muro di Berlino. Quali sono i passaggi successivi?

“Nel 1994 c’è il Wto a Marrakech, in Marocco. Un accordo non commerciale, un accordo politico. Qui nasce l’idea di un mondo pacificamente sviluppato su un’unica geografia mercantile piana. In questo momento l’Asia muove i primi passi nel mercato globale (nel Wto entrerà formalmente nel 2001). Dal 2008 si registra la prima crisi che non è solo finanziaria ma è la crisi dell’idea di spostare di colpo la fabbrica in Asia con un effetto povertà per le classi lavoratrici dell’Occidente. Effetto che si tenta di compensare creando Finanza dal nulla con i subprime che sono appunto crollati con la crisi del 2008.”

Nel 2016 con le elezioni americane si afferma l’opposto della globalizzazione.

“Si blocca lo scivolo degli Stati Uniti verso l’Asia. È l’anno del Make America great again, dell’America first. Nell’ottobre del 2016 il presidente Barack Obama, commentando la vittoria di Donald Trump, dice non è la fine del mondo, è la fine di un mondo. E, in effetti, così coglie l’essenza politica e filosofica della globalizzazione che era strutturata come la fabbrica in un mondo nuovo per l’uomo nuovo. Nel suo discorso di insediamento Obama aveva infatti detto: ‘Non abbiamo un passato, abbiamo solo un futuro’. Per capire l’intensità di questo cambiamento bisogna valutare l’essenza utopica della globalizzazione.”

Non a caso utopia significa proprio assenza di luogo.

“L’utopia è la quintessenza della globalizzazione. Il metro per valutare quello che è successo in questo periodo è un metro politico: devi capire cosa ci si illudeva che fosse il mondo nuovo, una rottura sulla linea della storia che si è sviluppata per tre decenni. Se guardi il mondo come è stato ipotizzato e costruito in questi trent’anni era assolutamente diverso dal passato, un mondo basato sul mercato sicut deus: il mercato sopra, i popoli sotto, il mercato sopra, gli Stati sotto. In ogni caso la matrice della globalizzazione non era economica ma politica: l’economico totalitarismo del mercato. E questo è stato, nella realtà e nei sogni di tanti, questo periodo.”

Nel luglio del 1989 ha scritto un articolo sul Corriere della Sera per denunciare che si stava spezzando la catena stato-territorio-ricchezza. Che cosa stava accadendo?

“La ricchezza si stava liberando dai vincoli territoriali, la sua parte più strategica stava entrando nella repubblica internazionale del denaro.”

Quindi già allora lei aveva intuito il ribaltamento della struttura politica. Tutto il resto è poi venuto a seguire. Nel 1995 è quindi uscito in libreria con Il fantasma della povertà, il libro in cui prevedeva l’impoverimento delle classi lavoratrici dell’Occidente.

“Nei WikiLeaks del 2008, mandati da Roma a Washington, si legge: ‘Tremonti ha sempre avuto profondi dubbi sui benefici della globalizzazione e ha una filosofia politica non ortodossa’. Quella ortodossa si sarebbe poi presto schiantata da sé. La globalizzazione è finita e il tempio è crollato. Lo vedi da tanti segni. Le piaghe sono finora state sette: il disastro ambientale, lo svuotamento della democrazia sversata nella repubblica internazionale del denaro, la società in decomposizione, la spinta verso il transumano, l’apparizione dei giganti della rete, la pandemia, la guerra alle porte dell’Europa e la crisi nell’approvvigionamento di risorse, dal gas al grano.”

Che mondo è quello in cui viviamo?

“È un mondo molto simile a quello che c’era al principio del Novecento. Un mondo che non è più globale nel senso del dogma, dell’automatica progressione verso il bene garantita al mercato, ma comunque internazionale come era allora (traffici commerciali, ma anche scontri e guerre). C’era stata la Belle Époque, ma c’era stata pure Sarajevo. E questo è il mondo in cui siamo noi.”

Che effetto ha tutto questo sulla vita delle persone?

“Sull’uomo, che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento guardava per la prima volta una fotografia, l’impatto era uguale di uno che oggi guarda il tablet. In ogni caso, a proposito di media, dato che Google non perdona, sui media puoi leggere quante cose state dette e non previste dalle nostre classi dirigenti. Ragione per cui bisogna diffidare, perché sono ancora quelle di una volta.”

A cura di Andrea Indini, Il Giornale.it, 8 febbraio 2023

Tags: Giulio Tremontiglobalizzazione
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