Come previsto Nicolas Sarkozy ha perso malamente il primo turno. Il suo tentativo di riaccreditarsi come il campione della Destra post gollista e, al tempo stesso, come alfiere del cambiamento —— la mitica “rupture” con il sistema castale francese — non ha funzionato. Non poteva funzionare. Per molti motivi.
L’uomo ha pagato non solo ripetute cadute di stile, comportamenti privati poco consoni alla sua carica, una non dissimulata tendenza al nepotismo e frequentazioni talvolta imbarazzanti, ma soprattutto una politica ondivaga, contradditoria e, complessivamente, perdente.
Un dato pesante che negli ultimi mesi ha costretto Nicolas Sarkozy — su consiglio di Patrick Buisson, il suo più lucido consigliere — a cambiare platealmente posizione per tentare di rapportarsi nuovamente con la “France du non”, il paese reale che teme e rifiuta l’eurocrazia. Da qui la sordina al rapporto privilegiato con Angela Merkel, la rimozione dell’ortodossia comunitaria a favore di una critica feroce — il presidente ha usato inconsueti toni neo gollisti e nazionalisti — alle leggi e ai vincoli dell’Unione. Una svolta brusca che però non ha convinto.
A molti (troppi?) elettori, attanagliati da una crisi economica durissima e spaventati dall’invasività dell’Europa, le parole di Sarkozy — senza dubbio un vero discorso di destra, perfetto nei toni e negli argomenti — pronunciate nel grande comizio di domenica 15 aprile in place de la Concorde, sono suonate stonate o, persino, false. Sicuramente tardive.
Come credere a un candidato che promette — una volta rieletto — di aprire «il dibattito sul ruolo della Banca Centrale Europea», ma improvvisamente dimentico d’aver bollato appena lo scorso 27 febbraio come “irresponsabile” ogni prospettiva di rinegoziazione dei trattati?
Al popolo di place de la Concorde, il presidente ha annunciato che «la crisi ci ha mostrato i limiti delle regole fissate a Maastricht» e ha rivendicato il diritto della Francia a decidere il proprio destino in autonomia e libertà, sino al punto — fatto eccezionale visto il personaggio — di compiere pubblica ammenda. Con voce stentorea Sarkò ha riconosciuto errori e sbagli e tracciato scenari inquietanti quanto realistici: «abbiamo avuto torto di trascurare le frontiere e aprire i nostri mercati senza contropartite, abbiamo avuto torto di lasciare il passo alla burocrazia, abbiamo sbagliato nel voler costruire un’Europa dei consumi senza preoccuparci dell’Europa della produzione. Se le frontiere non sono protette contro un’immigrazione incontrollata, contro la concorrenza sleale, contro i dumping, la civiltà europea scomparirà».
Tutto giusto, tutto chiaro. Tutto condivisibile. Ma molti (troppi?) francesi ricordano che lo scorso 2 marzo Sarkozy ha solennemente apposto la sua firma e imposto al Parlamento transalpino il protocollo del contestato “Mécanisme européen de stabilité”, l’ennesima cessione di sovranità nazionale agli eurocrati. Ricordiamo che, su impulso di Berlino e l’accordo di Parigi, il MES prevede regole ferree sui bilanci nazionali e sottopone gli Stati al controllo occhiuto della Corte di Giustizia del Lussemburgo. Per ogni violazione sono previste ammende severe….
L’elenco delle contraddizioni, dei ripensamenti, delle amnesie presidenziali sull’Europa e sulla crisi economica è lungo e impietoso, ma, accanto a questa lunga lista, vi sono altri fattori. Tutti decisivi.
Qualche esempio: i facili allori della guerra di Libia non hanno sopito il malcontento dei seguaci di Charles De Gaulle (e della società militare) per il rientro forzoso della Francia nella NATO; le frettolose attenzioni alla diaspora d’Algeria nel cinquantennio della sconfitta e dell’esilio, non hanno riconciliato la galassia dei “pieds noires” (tre milioni di voti…) con l’inquilino dell’Eliseo; il coinvolgimento al governo e nei centri di potere di personaggi di sinistra (vedi Strauss Kahn al FMI) si è dimostrato assolutamente fallimentare e controproducente. E soprattutto, come ricordava Giuliano Ferrara lo scorso 21 aprile su “il Foglio”, «la campagna di Sarkozy è stata particolarmente deludente se la si paragona a quella di cinque anni fa. Promettendo una “rupture” con il passato, diceva ai suoi elettori che non avrebbero più permettersi uno Stato tentacolare che coccola i lavoratori e scaccia gli imprenditori. Quest’anno Sarkozy sembra accontentarsi di rafforzare un modello che è ancora più disastrato di prima. Se l’attuale presidente riconquisterà l’Eliseo, lo avrà fatto voltando le spalle a quella rinascita del centro destra che lo aveva portato alla vittoria». La chiave del successo di Marine Le Pen è tutta in queste parole.
Viste le premesse, è molto probabile che l’incolore Hollande vinca il round finale. In ogni caso, per il centro destra francese si apre una fase di ripensamento e di sofferenza. Un processo sicuramente doloroso quanto quello che attraversa il centro destra in Italia, ma con alcune differenze. Sostanziali. La sconfitta del presidente uscente è la sconfitta storica del neo gollismo, un processo politico innestatosi nel 1995 sulle ceneri del “mitterandismo” e terribilmente incapace — prima con Chirac e poi con Sarkozy — di rinnovare in profondità la V°Repubblica.
Ignorando la “France du non”, la maggioranza che nel 2005 bocciò la Costituzione europea e diede la vittoria a Sarkò nel 2008, gli eredi del generale De Gaulle — uomo contradditorio ma nemico dichiarato dei “poteri forti” — hanno preferito la subalternità alle potenti oligarchie finanziarie e, come l’apprendista stregone, sono rimasti prigionieri di logiche di potere transnazionali che, scioccamente, pensavano di dominare e guidare. La ricostruzione della destra francese è ora nelle mani della signora Le Pen. E Parigi è vicina…
Mi sembra che anche la destra berlusconiana è nella confusione.Perche appoggiare Monti????Ci vuole coerenza ed idee chiare.