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Non occorreva certo essere Nostradamus per prevedere che sarebbe arrivato il momento di Mario Draghi. Noi, nel nostro piccolo, lo avevamo fatto poco meno di anno fa unendo i puntini che partendo dal famoso intervento dell’ex governatore della BCE sul Financial Times, un vero e proprio programma di governo, e passando per la situazione del paese proseguivano verso lo stato miserabile della politica nazionale e il livello ancora più miserabile di chi si era ritrovato, per caso e senza nemmeno sapere come, a gestire indegnamente la peggiore emergenza del dopoguerra.
Il disegnino che ne veniva fuori era già allora quello di un Mario Draghi saldamente installato a Palazzo Chigi. Casomai bisognerebbe chiedersi come mai ci arrivi così tardi, dopo un anno trascorso in compagnia degli squallidi spettacolini del Circo Giuseppi e dei suoi patetici saltimbanchi tra monopattini, banchi a rotelle e primule, totalizzando uno dei peggiori rapporti morti/abitanti del mondo, il più grande calo del PIL in occidente e il più lungo periodo senza scuola.
Per mettere la parola fine alla squallida avventura del gagà pugliese, del suo Lothar da Grande Fratello e di tutti gli altri comprimari, dal PD in giù, ci è voluto Matteo Renzi che, come un androide di un libro di Philip Dick, misteriosamente innescato da una centrale aliena ha fatto esplodere tutto il baraccone dal suo stesso interno. Baraccone che lui stesso, evidentemente all’epoca attivato da un impulso alieno eguale e contrario, aveva voluto mettere insieme a tutti i costi.
Per la destra politica si pone ora il classico quesito leninista: Che fare? La pseudo coalizione, o meglio il consorzio elettorale, sembrerebbe procedere in ordine sparso: favorevole a Draghi Forza Italia, con Berlusconi impegnato in prima persona come non accadeva da tempo; ambiguo ma possibilista Salvini, pressato dalla fronda interna e da una parte rilevante della sua base elettorale; contraria la Meloni ansiosa di trasformare in voti veri i sondaggi favorevoli ma ancora una volta prigioniera di una visione piuttosto miope mascherata da “coerenza”.
Ha senso sbraitare e incaponirsi per le elezioni in una situazione come questa? O nascondersi dietro lo slogan del momento, “mai al governo col PD, i 5 Stelle e Italia Viva”, quando è evidente che siamo di fronte ad una questione istituzionale e non di schieramento? Detto che in linea di principio quella di votare sarebbe una richiesta sacrosanta e che ad uscire con le ossa rotte dall’emergenza pandemia è anche, e soprattutto, il sistema istituzionale delineato dalla cosiddetta costituzione più bella del mondo, confermatasi obsoleta ed inadeguata, occorre esaminare concretamente il contesto.
Va innanzitutto sgomberato il campo dal pavloviano paragone con Mario Monti: a parte l’enorme differenza di spessore tra i due personaggi, ovviamente a favore di Draghi, qui non siamo di fronte al golpe bianco di Napolitano, all’implosione della credibilità del centro destra di allora che lo aveva propiziato e ad una crisi essenzialmente indotta dall’esterno con lo strumento dello spread. Quello di Draghi non potrà essere un governo tecnico come sembra ritenere, erroneamente, la Meloni, ma dovrà essere un governo di emergenza nazionale, una sorta di gabinetto di guerra bipartisan nel quale le forze politiche dovranno assumere, attraverso il Parlamento (sostanzialmente esautorato durante il regime di Giuseppi) responsabilità e condividere scelte. Proprio quello che non accadde con Monti che si portava a spasso come un cagnolino un parlamento impreparato e sottomesso.
Ciò posto bisogna porsi un’altra domanda fondamentale: elezioni per fare cosa? Se anche si votasse e il centrodestra risultasse vincitore, avrebbe la forza, le capacità e gli uomini per affrontare gli enormi problemi posti dalla pandemia e soprattutto dalla crisi economica che la seguirà inevitabilmente, come è sempre accaduto nella storia? Perché non basta prendere i voti, bisogna anche saperli utilizzare. E qui viene al pettine il vecchio nodo dell’inconsistenza politica e culturale dell’attuale sfronte sovranista, la sua cronica mancanza di visione e di competenze, il livello modesto dei suoi quadri. La Meloni e i suoi (ma vale anche per Salvini) pensano veramente di essere in grado affrontare lo tsunami sociale, l’ondata di crisi, fallimenti e licenziamenti che si abbatterà su di noi una volta che verranno meno le protezioni di carta velina malamente imbastite da Giuseppi con le sue chiacchiere? E come penserebbero di farlo? Con le bizzarre proposte economiche grondanti di dilettantismo, improvvisazione e superficialità esternate sino ad ora? Potrebbero idee e persone di questo livello salvare l’economia italiana, che in Europa ha subito le maggiori perdite e i danni più gravi?
No, non potrebbero; quello che succederebbe lo abbiamo già visto al tempo del governo gialloverde: i ministeri chiave sarebbero commissariati e la politica economica così come le scelte fondamentali sarebbero decise altrove. La realtà è che la destra attuale arriva nuda alla meta, disarmata all’appuntamento decisivo, non essendo stata in grado di costituire un’alternativa credibile ed affidabile alla disastrosa gestione del potere perpetuata dalla sinistra, in un modo o nell’altro, negli ultimi 10 anni. Tatticismi ed espedienti dialettici hanno le gambe corte, proprio come le bugie.
Che fare dunque? Escludendo, per i motivi di cui sopra e anche per un’evidente inopportunità tattica, l’idea di sostituirsi sic et simpliciter al governo uscente per gestirne l’eredità avvelenata, bisognerebbe giocare la partita facendo buon viso a cattivo gioco avendo in mente soprattutto l’interesse nazionale, più che quello di bottega. Mario Draghi, di cui non dimentichiamo certo i poco digeribili trascorsi, che ci piaccia o no è l’unica personalità nazionale in grado di affrontare, per formazione, autorevolezza, credibilità, esperienza, i problemi che abbiamo davanti. Dalla gestione della pandemia al collasso dell’economia fino alla partita del Recovery Fund, una trappola micidiale di cui tutti vedono il formaggio (120 miliardi di prestiti a scadenza sottoposti a rigidissime e pesantissime condizioni e altri 80 finanziati dal bilancio europeo, quindi da imposte) ma non la tagliola pronta a scattare una volta che il malcapitato topolino italiota lo abbia addentato.
Nessuno meglio di Draghi può giocare (o sperabilmente non giocare) questa partita nella quale l’Italia è stata sino ad ora rappresentata da piccoli Quisling nostrani, nanerottoli sprovveduti e mezze figure in ginocchio col cappello in mano. Una specie di convergenza parallela nell’interesse generale, una sfida nella quale la destra dovrebbe cercare di imporre il suo peso politico facendo pesare i contenuti più che gli slogan e le parole, compito molto più difficile e impegnativo che invocare messianicamente le elezioni come un deus ex machina capace di risolvere magicamente ogni problema.
Il tempo ci dirà se il duo Meloni/Salvini si dimostrerà all’altezza del compito. Dagli ultimi sviluppi sembrerebbe che dopo le prime bellicose esternazioni – superficiali, affrettate e un po’ maldestre – anche la Meloni potrebbe scendere a consigli leggermente più miti, ora parla di astensione, come già ha fatto Salvini, che ha margini interni di manovra meno ampi. Entrambi ufficialmente per non rompere l’unità della coalizione di centrodestra (che in realtà va e viene a seconda delle necessità) nella realtà costretti ad inseguire in qualche modo un redivivo Berlusconi che dei tre sembra il più lucido, l’unico ad avere veramente capito quello che sta succedendo. Il che è tutto dire…
C’è da restare allibiti nel vedere in un uomo della troika cone colui che possa risolvere gli atavici problemi nostrani. Leggendo il presente articolo mi rendo conto di una cosa: la Destra non esiste più. Se si crede che le elezioni non si tengono per via del covid e non per il virus Salvini che agita le soggiogate – dai poteri forti – cancellerie europee, è la riprova dell’ora lugubre e buia che viviamo simile se non peggiore del 1976, anno in cui si materializzò la funesta stagione dei governi di solidarietà nazionale con l’89% delle forze a sostegno del compromesso storico. Evidentemente la storia non insegna nulla. Contenti voi.
Draghi non risolverà nessun problema porterà la legislatura alla scadenza naturale eleggeranno un presidente della Repubblica fac simile a Mattarella se non lo stesso Mattarella. Il centro destra sia che appoggi Draghi sia che rimanga all’opposizione ne uscirà con le ossa rotte e quando si voterà vinceranno i partiti di potere e clientele come P.D. e Renzi con i 5 stelle relegati a ruota di scorta, mentre i potenziali elettori del centro destra schifati da questo rigurgito (meglio rutto) patriottico per salvare solo le poltrone e del potere mentre operai commercianti artigiani pensionati cadranno sempre più in basso abbandoneranno qualsiasi speranza. Interesse nazionale ma per favore non chiamate le cose come stanno Draghi e il liquidatore. Comunque il tempo è galantuomo attendo gli eventi nella speranza di essere contradetto dai fatti.