Franco Locatelli, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità nonché coordinatore del CTS – il sinedrio di scienziati (veri o presunti) che da quasi due anni decide delle nostre vite – ha comunicato trionfante che in Italia la percentuale di persone vaccinate con una dose ha raggiunto l’85% della popolazione e quella con due l’80%
Se fosse vero sarebbero tra le percentuali più alte d’Europa e del mondo: stando alle statistiche disponibili avrebbero fatto meglio solo il Portogallo (88%) e gli Emirati Arabi Uniti, gli unici a superare il 90%, livello oltre il quale si potrebbe fare a meno del Greenpass, almeno secondo il fin troppo garrulo generale Figliuolo anche se non si capisce bene in base a cosa, se a serie evidenze scientifiche o solo ad opinioni personali, sue o di qualcun altro. Le statistiche a disposizione dei comuni mortali parlano in realtà di vaccinazione con almeno una dose per il 77% degli italiani, risultato comunque lusinghiero se confrontato con il 68% della Germania, il 72% del Regno Unito, il 75% della Francia e non troppo lontano dall’81% della Spagna.
Dati, però, che pongono chiaramente una domanda: ma se la campagna vaccinale è stata un successo e la grande maggioranza della popolazione risulta teoricamente protetta (anche se non immunizzata), che senso ha imporre, unici al mondo, il Greenpass per lavorare? Nessun altro paese né d’Europa né del mondo ha mai preso provvedimenti simili; quelli con tassi di vaccinazione analoghi ai nostri anzichè chiudere e limitare stanno gradualmente aprendo e liberando le rispettive popolazioni da restrizioni considerate oramai inutili e/o eccessive.
Qui invece, nell’indifferenza generale di chi – organi istituzionali preposti, costituzionalisti, autorevoli commentatori – dovrebbe chiedere chiarezza, si comprimono ulteriormente e con procedure discutibili i diritti fondamentali di molti cittadini. Anzi, i dotti e sapienti depositari del sapere medico-mediatico da social e talk show non si stancano di ripetere che i “cavilli da legulei” (in realtà la ex Costituzione più bella del mondo improvvisamente diventata un ferrovecchio) non possono fermare la scienza mentre salva vite, e che non è il caso di perdere tempo con simili sciocchezze. Come se la loro “scienza” fosse al di sopra di tutto e di tutti e non fosse possibile salvare vite rispettando norme, diritti e principi.
Argomentazioni da distopia scientista che, in fondo, potrebbero ricordare (ovviamente con tutte le differenze del caso) quelle degli illustri scienziati che a Norimberga raccontavano, per giustificarsi, che i loro esperimenti, svincolati dalla legge e dall’etica, avevano contribuito al “progresso della scienza” e avrebbero aiutato a salvare molte più vite di quelle che avevano soppresso. Nella sostanza e nelle conseguenze la questione Greenpass è molto più seria di quanto appaia.
La debolezza politica e la verosimile difficoltà, se non impossibilità, di superare il controllo di adeguatezza, ragionevolezza, proporzionalità e conformità allo scopo, presupposti della legittimità costituzionale della misura, hanno impedito al governo Draghi di imporre l’obbligo vaccinale ex art. 32 della Costituzione, l’unico modo legittimo per raggiungere lo scopo dichiarato nelle condizioni dichiarate (peraltro tutte da verificare).

In piena continuità con il governo di Giuseppi, che per mesi ha millantato un fantomatico “modello italiano” a suo dire studiato in tutto il mondo (in realtà solo come esempio negativo), anche Mario Draghi ha scelto una discutibile soluzione all’italiana, ovvero l’introduzione surrettizia per decreto legge, quindi senza una vera discussione parlamentare, di un obbligo non esplicito e privo di controllo di legittimità ben descritto dalle misere dichiarazioni del sempre caricaturale ministro Renato Brunetta: “Adesso il gioco da fare è far aumentare il costo della non vaccinazione agli opportunisti. Come? Questa è la logica geniale del Greenpass: ti vaccini, guarisci oppure ti fai il tampone, che ha un costo psichico e monetario, più quello organizzativo”.
Quindi non lo scopo dichiarato di limitare il contagio – contraddetto da risultanze oggettive oltre che dalla bizzarra logica del provvedimento stesso che, ad esempio, vieta anche di lavorare da casa propria o di visitare parchi archeologici all’aperto o di viaggiare sui treni ad alta velocità ma non su regionali affollati – ma un altro, ipocritamente sottinteso: costringere a vaccinarsi peggiorando arbitrariamente le condizioni di vita di chi esercita quella che, in mancanza di obbligo, resta una legittima libera scelta. Situazione avallata anche dal Presidente della Repubblica con il suo ambiguo richiamo ad un presunto “dovere civico” che tale non può essere in mancanza di una norma che lo così lo qualifichi.
Impietoso il confronto con la Francia, unico paese europeo ad adottare misure simili, anche se molto meno invasive: la bellicosa proposta iniziale di Macron ha dovuto sottostare prima all’esame del Conseil d’État, poi affrontare una vera discussione parlamentare ed infine passare al vaglio del Conseil Constitutionnel, la locale Corte Costituzionale, perdendo pezzi ad ogni passaggio. Alla fine sono rimasti l’obbligo vaccinale per il personale medico, introdotto da noi con un semplice decreto legge, e alcune restrizioni per i luoghi pubblici, ma con esplicita proibizione di ogni discriminazione sul lavoro.
In Italia invece il governo, anziché rendere conto in modo trasparente delle proprie scelte sia sul piano sostanziale che procedurale, ha preferito calpestare le norme e tirare diritto tra slogan e imposizioni scatenando una caccia all’untore ed additando i dissidenti al pubblico ludibrio sulla base della sgangherata e meschina equazione No Greenpass=No VAX=Asociali=(all’occorrenza) “fascisti”.
Spalleggiato in questa squallida riedizione del machiavellismo del fine che giustifica i mezzi da quasi tutti i soggetti politici ed istituzionali, dai costituzionalisti prêt-à-porter, da tutti i media di servizio, da tutto il baraccone intellettuale e da vari poteri più o meno forti, condizionando e disinformando un’opinione pubblica spaventata da mesi di comunicazione terroristica ed esasperata dalle conseguenze economiche e sociali della pandemia.
Una gazzarra ottusa e conformista che non risparmia nessuno, vedi quello che è capitato allo storico di sinistra Alessandro Barbero, linciato mediaticamente dai suoi stessi compagni per avere firmato un appello contro il Greenpass, o, ancora peggio, a Massimo Cacciari e Giorgio Agamben che – per averci messo in guardia, tenendo ben presente la lezione di Carl Schmitt, contro i pericoli dell’autoritarismo di cui sono impregnate certe decisioni e certi comportamenti del governo -vengono fatti passare dal baraccone delle comunicazione mainstream come due squilibrati che hanno perso il senno. “Cose gravi e sceme che … hanno conseguenze gravi e sceme” secondo uno sprovveduto peone del giornalismo RAI ligio alle consegne come un caporale di giornata.
Nel baccano non sono mancati aspetti paradossali, come la CGIL di Landini che a Trieste sceglie di recitare la parte che fu dei capi FIAT contro lavoratori che fanno quello che faceva la CGIL nel 1980 (ma per una causa sicuramente migliore) o come le zitelle isteriche dell’antifascismo strumentale che pretendono di difendere la Costituzione sbraitando per la XII disposizione transitoria ma poi approvano ipocritamente e fanno proprie decisioni che hanno fatto saltare come birilli almeno una mezza dozzina di norme costituzionali poste a tutela di diritti fondamentali.
Non vanno nemmeno sottovalutati certi effetti collaterali della situazione, ad esempio la gestione dell’ordine pubblico: dalla insensata repressione della manifestazione di Roma sono riemersi, tra l’altro, vecchi residuati della strategia della tensione come ambigui agenti infiltrati o provocatori ben noti deliberatamente lasciati liberi di agire. Situazioni che hanno portato l’inadeguatissima ministra degli interni (grave errore affidare un ministero così importante ad una mediocre funzionaria ministeriale) a sbeffeggiare una imbelle Camera dei Deputati, che non ha praticamente fatto una piega, con la barzelletta della “verifica della forza ondulatoria” per giustificare l’operato di un agente provocatore.
Sarebbe dunque sbagliato limitarsi ad etichettare come sfogo di esaltati (come vorrebbe la narrazione che viene imposta) le proteste anti Greenpass. L’errore dei destristi non è stato sostenerle, ma sostenerle nel modo sbagliato, solo superficialmente e solo nella parte più inutile e chiassosa, quella degli slogan e delle chiacchiere. Nessuno a destra è stato capace di studiare la questione, di evidenziarne i problemi, di costruire una critica seria e ragionata, di contestare fondatamente le scelte del governo, di mettere in discussione certe decisioni, di dare un senso politico alla protesta. Come sempre ci si è limitati a ridurre tutto a banale propaganda buona per raccattare qualcosa al momento senza esporsi più di tanto.
Anche stavolta hanno pesato i soliti limiti di preparazione, di visione, di elaborazione politica e anche, almeno nel caso di Salvini, di credibilità: che senso ha, dopo avere approvato in CdM il Greenpass sbraitare contro la Lamorgese, ministro di un governo sostenuto dalla Lega nel quale ha tre ministri (appiattiti sulla linea di Draghi) e al Viminale il sottosegretario con delega alla Pubblica Sicurezza? Il capo di un partito della maggioranza non può pensare di cambiare parte in commedia a seconda di quello che fa più comodo al momento senza mai riuscire ad incidere minimamente sulle scelte e sulle decisioni. Se non condivide l’azione del governo esca, se ne ha la forza, altrimenti meglio tacere e salvare la faccia.