C’è un’atmosfera particolare a Palmira, il viaggiatore la avverte subito, appena ne scorge la prima pietra. Si capisce che là il tempo trascorso non ha cancellato l’anima di una città, di una civiltà. La prima cosa che si nota quando si arriva sono i bambini, con quegli occhi grandi e neri che ti vengono incontro per proporti un giro in cammello e hanno sguardi fieri, non chiedono l’elemosina ma vogliono mostrarti i tanti tesori lì conservati.
Palmira si colora di rosso all’alba e al tramonto, e le sue colonne antiche brillano tanto sfidando i predoni di ieri e di oggi. C’è una sostanziale differenza però, i predoni di ieri erano predoni e basta, quelli di oggi sono fondamentalisti islamici foraggiati e armati da quell’Occidente che si ostina a considerare il governo Assad il pericolo per la democrazia. In Siria il presidente — con mano pesante, certo, con durezza, vero ma il Medio Oriente è questo — aveva saputo mantenere gli equilibri tra le etnie e imporre una connotazione laica dello Stato, garantendo — come un tempo anche nell’Iraq di Saddam — libertà religiosa per tutti.
In Siria i cristiani d’ogni chiesa hanno sempre potuto professare indisturbati la loro fede. Ricordo a Damasco, nel quartiere di San Paolo, tante suore vestite di bianco confondersi tra la gente, e poi la recita del Padre Nostro in aramaico, la lingua parlata da Gesù a Malolula.
Banali dettagli per gli esportatori di democrazia. Meglio far cadere Assad così poco incline a ricevere ordini da Washington e Tel Aviv, meglio invece armare e supportare i cosidetti ribelli sunniti, gli stessi che uccidono popolazioni inermi, perseguitano i cristiani e distruggono opere d’arte e reperti dell’antichità.
E così in questa situazione caotica, penso alla Siria. Solo chi ci è stato può comprendere fino in fondo la bellezza struggente di questa terra e l’unicità di questo popolo: fiero, colto, gentile, abituato a convivere con antiche vestigia di un passato che ancora sembra permeare gli stili e gli atteggiamenti.
Palmira, Apamea, Bosra, il Krak dei Cavalieri ora rischiano di essere cancellati dalla furia iconoclasta del fanatismo islamico. Difendere questi avamposti di civiltà, capolavori artistici, tesori archeologici, significa difendere la nostra civiltà mediterranea. La civiltà.
Le notizie che giungono in queste ore da Palmira non sono rassicuranti, dopo una prima fase nella quale l’esercito di Assad era riuscito a contenere l’avanzata dell’ISIS, ora i fondamentalisti hanno occupato parte della città e iniziato i massacri dei civili. Oltre un centinaio di persone sono state rapite e si parla di decapitazioni. I governativi hanno messo in salvo le più importanti opere d’arte ma si teme per l’integrità del sito che è vastissimo e che potrebbe essere distrutto dai nuovi predoni……
Palmira, mon amour. Mi sento una privilegiata ad aver potuto ammirare, camminare, tra quelle lunghe fila di colonne; al tempo stesso mi assale l’angoscia nel pensare che potrebbe accadere che Palmira venga spogliate, dinamitata, distrutta. Nessuno potrà più fissare quei capitelli dorati dal sole, alle spalle del deserto, nessuno più vedrà quei bambini fieri dai grandi occhi neri.
Non ho mai avuto la fortuna di recarmi in Siria, non conosco questo popolo colto, gentile…solo per sentito dire e mi strugge il pensiero che questi capolavori artistici, i resti dell’antica civiltà, di Palmira possano andare distrutti dalla furia dell’ISIS. Possibile che nessuno si muova per difendere questo popolo martoriato e la sua civiltà?