I bimbi affogano, il Levante brucia, l’Europa tace e annaspa

Terribile, orrenda l’immagine del bimbo siriano annegato nelle acque turche. Orribili le battute degli xenofobi sul web, insopportabili le stupidaggini buoniste sui media. Sulla morte non si specula. Si tace. Questo è il tempo della pietas, del rispetto. Dei ragionamenti.

La realtà è durissima. Il Medio Oriente e l’Africa stanno implodendo. Il Mediterraneo e i Balcani bruciano. L’Europa balbetta. Alcuni si commuovono, altri  bestemmiano, i più si preoccupano e alternano rancori a paure. Nessuno ha soluzioni, ipotesi di lavoro, progetti seri. Nessuno è capace di pensieri lunghi e forti. L’Europa rumina e annaspa.

Gran parte dell’attuale disastro è frutto delle politiche demenziali (e perdenti) degli USA e dei loro alleati (Italia compresa, gli idioti nostrani che applaudivano le bombe sull’Iraq di Saddam e sulla Siria di Assad riflettano…) in Medio Oriente e in Asia centrale. Ma la catastrofe del Levante è anche il risultato del terribile lavorio di turchi, qatariori, sauditi e israeliani contro i regimi laici.  Allo stesso tempo la deriva di gran parte del Continente nero è il frutto avvelenato e tardivo di una decolonizzazione affrettata e dell’incapacità totale dei governanti africani. Piccoli, grandi giochi di potenza, politiche di rapina, corruzione, ottusità. Lo sappiamo, conosciamo tutto.

L’Europa — come una vecchia baldracca — ha invitato e taciuto, giocato e intrigato. Aperto e chiuso e chiuso e riaperto. Intanto  le “moltitudini” continuano a scappare dai loro inferni — reali (la Siria, l’Iraq, l’Afghanistan) o presunti —  cercando paradisi impossibili. Tutto si mescola e s’intreccia. Accanto ai cristiani d’Oriente, ai sunniti laici e alle tante minoranze islamiche (realtà da aiutare) non gradite ai whaabiti di Riad e ai sultani di Ankara, sgomita dall’Africa (ma anche dal Pakistan, dall’India etc.) una massa enorme di disperati gestita dai nuovi negrieri, dalle mafie internazionali.

Si tratta di un fenomeno epocale che non si ferma e non si gestisce con belle parole o fili spinati, con buonismi o cooperative malandrine, ma con progetti seri. Complessi. È tempo di riflettere.

Allora, perchè — piccolo consiglio alla opposizione dai pensieri corti — non denunciare (piuttosto che trimpellare tra ruspe, fiammette e bavagli) le responsabilità tremende di Turchia, Qatar e Arabia Saudita e aprire un dialogo, prima che sia troppo tardi, con Damasco, i curdi e l’Iran e ascoltare le chiese cristiane d’Oriente?

Perchè non iniziare a lavorare ad un grande piano di rilancio per l’Africa, riprendendo una norma ancora in vigore delle Nazione Unite : l’ammistrazione fiduciaria?  È tempo — come  l’Italia repubblicana fece in Somalia tra il 1950 e il ’60 — d’immaginare che ogni Stato europeo (o aggregazioni dei più piccoli, oppure coinvolgendo realtà statuali serie come il Sud Africa, l’Egitto, il Marocco) possa “adottare” un’entità  fallita (dalla Libia al Congo la lista è lunghissima) e ricostruirla su tempi medi fornendo infrastrutture, siti produttivi, sicurezza.  Servono soldi e soldati, tecnici e medici. Serve volontà e coraggio.

È nostalgia del miglior colonialismo? Forse sì. Ma altre soluzioni non ne scorgiamo. Vediamo bimbi che affogano nel mar Egeo. Insopportabile.

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