La squallida vicenda del sindaco di Riace mostra come poche altre l’abisso di ipocrisia e malafede in cui si dibatte la sinistra buonista.
Nel piccolo comune calabro (2.343 abitanti, meno di una via di Milano) famoso per i bronzi, il sindaco Domenico Lucano, spalleggiato dal solito circo mediatico, politico e intellettuale buonista, aveva messo su un presunto “modello di integrazione” creando “una comunità multiculturale unita e solidale”, come racconta estasiato l’ex presidente del Senato Pietro Grasso.
Solo che ora salta fuori che la meravigliosa creatura buonista sbocciata in Calabria sarebbe in realtà uno dei tanti esempi di malaffare legati alla gestione dell’immigrazione clandestina.
Così l’idolo delle folle immigrazioniste viene arrestato dalla Guardia di Finanza su ordine della procura di Locri che lo accusa di un sfilza di reati uno più grave dell’altro.
Apriti cielo: la notizia scatena la cagnara buonista che, incurante del ridicolo, si scaglia come un sol uomo contro l’inaudito attentato al bene dell’umanità perpetrato da perfidi e insensibili magistrati.
Così chi qualche settimana fa esaltava lo stato di diritto, l’obbligatorietà dell’azione penale, l’indipendenza della magistratura come i capisaldi della democrazia che permettevano di mettere sotto inchiesta il ministro degli interni Salvini, scopre improvvisamente che la magistratura è asservita al potere, che dovrebbe scegliere a suo capriccio quali reati perseguire e quali no in uno Stato in cui i cittadini, se schierati da una certa parte, devono poter decidere liberamente quali leggi rispettare e quali no e godere quindi di una speciale immunità, da affiancare a quella parlamentare, per consentire ai buonisti di commettere impunemente reati in nome dell’umanità e del bene universale.
Principi che naturalmente non devono certo valere in altri casi, come quello della bizzarra inchiesta di Agrigento per i fatti della Diciotti, dove invece lo stato di diritto funziona perfettamente, la magistratura resta indipendente, l’azione penale è sacrosanta, non dettata da motivazioni politiche e l’indagine è prioritaria rispetto a tutte le altre incluse quelle di mafia.
“Proprio per disattendere queste leggi balorde vado contro la legge” dice Domenico Lucano in una intercettazione, assecondato dal ridicolo sinedrio dei buonisti in servizio permanente effettivo secondo i quali sarebbe assurdo pretendere di “criminalizzare la solidarietà” (Nicola Fratojanni) con “paradossali accuse” (Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil) punendo chi commette azioni che non sarebbero reati ma atti di “valore umano e sociale esemplare” (Stefano Fassina).
Il Procuratore della Repubblica di Locri, brutalmente assediato dalla stessa ciurma che aveva santificato il suo collega di Agrigento, si difende ricordando a tutti che “nessuno è al di sopra della legge”, ma secondo i tromboni buonisti l’impunità per Domenico Lucano (e per chissà quanti altri non ancora scoperti) sarebbe garantita da un immaginario e ridicolo diritto alla disobbedienza civile.
Una pretesa volgare e poco dignitosa: chi pratica seriamente la disobbedienza civile lo fa conoscendo bene le conseguenze dei suoi atti, che spesso accetta deliberatamente e considera funzionali ed utili alla sua causa.
Gandhi o Mandela, ad esempio (e mi perdonino la loro anime per averli accostati ad una vicenda tanto squallida) sfidavano platealmente e a viso aperto i loro nemici, ben più duri e potenti del magistrato di un paese democratico, affrontando poi con coraggio e dignità le sue prigioni.
La loro disobbedienza civile non consisteva certo in imbrogli, sotterfugi, illeciti, appalti truccati, finti matrimoni, documenti falsi come quella di Domenico Lucano (secondo quanto emerge dalla documentazione dell’accusa) né, a cose fatte, invocavano l’impunità assecondati dal piagnisteo da salotto di una compagnia di giro di politicanti, intellettuali, giullari, nani e ballerine che mette in scena un penoso e retorico copione politicamente corretto.
Alla recita non è mancato nessuno a cominciare, ovviamente, dal capocomico Roberto Saviano, oramai totalmente sconnesso dalla realtà e pienamente immedesimato nella parte di un malefico santone: “il ministro della Mala Vita, Matteo Salvini, ha subito individuato in Mimmo Lucano un nemico da abbattere” ha tuonato, “questo governo, attraverso questa inchiesta giudiziaria, da cui Mimmo saprà difendersi in ogni sua parte, compie il primo atto verso la trasformazione definitiva dell’Italia da democrazia a stato autoritario. Con il placet di tutte le forze politiche”.
Parole in libertà totalmente prive di senso: l’inchiesta era partita nel 2016, molto prima che Salvini diventasse ministro, ed è ovviamente gestita dalla magistratura, autonoma ed indipendente sia a Locri che ad Agrigento, non certo dal Ministero degli Interni.
Un delirio vergognoso ed eversivo, nel quale non si capisce se prevalga l’ignoranza o la malafede.
Come nella passerella finale delle vecchie riviste di avanspettacolo il primo attore è seguito a ruota da tutti gli altri guitti della compagnia: Gad Lerner “Il mandato di arresto per il sindaco di Riace è uno schiaffo in faccia a chi pratica il dovere dell’accoglienza e conferma la pulsione fascistoide di cui sta cadendo preda il nostro paese”.
La Boldrini “Il sindaco di Riace ha prodotto un modello di accoglienza che ha avuto riconoscimenti anche internazionali. Con la sua azione ha non soltanto aiutato richiedenti asilo e rifugiati che cercavano in Italia quella sicurezza che non avevano nei loro Paesi, ma ha risollevato l’economia di un territorio che, come tante nostre aree interne, si stava spopolando”.
Don Ciotti: “È un reato l’umana solidarietà? Si ripropone qui l’antico dilemma tra leggi dei codici e leggi della coscienza. Bisogna chiedersi se certe leggi non contraddicano la vocazione liberale e inclusiva della democrazia, vocazione che ha ispirato ogni passo dell’esperienza di Riace e del suo generoso sindaco”.
Una certa Loredana De Petris, senatrice di Leu: “L’arresto del Sindaco di Riace, è di una gravità inaudita ed è il frutto di un clima di intolleranza, xenofobia e repressione che ha ormai ampiamente varcato i livelli di guardia”.
Il sindaco di Napoli Luigi De Magistris (ex magistrato): “Solidarietà totale a Mimmo Lucano, l’umanità non si arresta”.
Per non farci mancare niente, all’allegra brigata buonista si aggrega anche Beppe Fiorello esibendo una plateale ed interessata indignazione in qualità di protagonista di una fiction che celebra le imprese buoniste di Domenico Lucano, una delle tante melense trasmissioni di propaganda confezionate dalla RAI con i soldi del canone ora irrimediabilmente bloccata: “Siamo tutti in pericolo, punto. Il sindaco Domenico Lucano è stato arrestato per aver accolto non per aver favoreggiato, allora arrestateci tutti” tuona l’attore invocando addirittura l’intervento del Papa.
Persino Alessandro Gassmann (sotto il cognome niente) che tra una lattina di tonno e una di sardine ama paragonare i minatori di Marcinelle agli immigrati clandestini, ha trovato il tempo per una cretinata un po’ snob: “Mimmo Lucano favoreggiamento all’integrazione. Stay human”.
Mentre i clown del circo buonista esternano il loro illuminato pensiero, l’UNHCR, cioè l’ONU, “segue quanto sta accadendo a Riace con grande apprensione perché il sindaco Domenico Lucano, arrestato ieri con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, è diventato un po’ il simbolo dell’Italia che accoglie” esprimendo “preoccupazione e rammarico”.
In effetti almeno questi un po’ hanno ragione: la vicenda di Riace è in effetti un simbolo dell’accoglienza all’italiana, che più che promuovere integrazione e solidarietà alimenta il lavoro delle procure.
Un apparato costosissimo, inefficiente e senza controllo tenuto in piedi da un miscuglio di retorica, ipocrisia, interessi, malaffare, sprechi, grassazione di danaro pubblico per il quale gli immigrati, come si sa, sono solo una risorsa che rende più della droga.
Aspettiamo fiduciosi una missione dei caschi blu che si interponga tra la Procura di Locri e Riace e impedisca finalmente di fare rispettare la legge, pretesa notoriamente assurda in un paese civile.