Un episodio del pregiatissimo telefilm “The Crown” mostra la regina Elisabetta II e il consorte, principe Filippo, intraprendere un lungo viaggio tra le mete più lontane del Commonwealth: tour de force ritenuto necessario dalla sovrana, ma vissuto con fastidio dal regale marito. Durante la tranche australiana (57 città visitate in 58 giorni) Elisabetta accusa un disturbo al volto, dovuto all’aver sorriso in continuazione alla folla; durante la visita, Filippo racconta al medico con sarcasmo di essersi svegliato con il lenzuolo attorcigliato attorno a un braccio – persino in sogno lo avrebbe agitato, per salutare i sudditi del Commonwealth.
A cosa sarebbero potuti servire i monarchi, nella crepuscolare stagione delle monarchie costituzionali? A salutare la folla? Sì.
Nel 2021 è morto il principe Filippo, l’ultimo monarca combattente. Nel 1940, durante il momento più buio della storia d’Inghilterra, lui combatteva con la Royal Navy, mentre la futura sposa soccorreva i londinesi sotto le macerie dei bombardamenti. Non è retorica: sono fatti storici, è vita vissuta. Nel dopoguerra, con l’avvento della televisione e dei rotocalchi di gossip, la loro esposizione mediatica fu un preciso servizio pubblico: ogni suddito (o se si preferisce, ogni cittadino) poteva vedere in Elisabetta una seconda mamma e in Filippo un secondo papà. Se qualcuno avesse aggredito la nazione, lei avrebbe fatto l’infermiera e lui il soldato, per proteggere il popolo dall’invasore.
O tempora, o mores. La stagione degli eroi e dei paladini è terminata, con gran compiacimento degli squallidi corifei del disincanto, degli impiegatucci del progressismo e degli idioti che ciarlano lo slogan “non siamo mica nel Medioevo”. La scorsa primavera, l’ultimo principe guerriero, l’ultimo sovrano legato, maniacalmente, all’idea di “servizio”, è morto. Ci ha lasciati col mito cretino di sua nuora e con i raccapriccianti siparietti di suo nipote: la spazzatura della storia. A entrambi è stato fatto notare che sì, la vita di corte comporta grandi privilegi: lusso, residenze faraoniche, vestiti bellissimi e ottimo cibo, svaghi e quanto d’altro; ma c’è un prezzo – l’impegno, il servizio pubblico. Entrambi hanno rifiutato il prezzo, pretendendo di tenersi i privilegi: così la nuora di Filippo è diventata una figura quasi leggendaria (col ridicolo soprannome di “Principessa del Popolo”), e il nipote fa soldi a vagonate con le rivelazioni che rilascia assieme alla moglie: quelle arpie a corte – hanno piagnucolato, previo pagamento di super-cachet per l’esclusiva – ci hanno detto che potevamo vivere nel lusso ma ogni tanto avremmo dovuto fare il nostro dovere, non è orribile?
Siamo nell’epoca del livellamento verso il basso, qualche sottosviluppato diffonde, con uno “stencil”, sui muri delle città italiane lo stupidissimo slogan “- eroismo + erotismo”: il progressismo ci ha gettati in pasto a questo qualunquismo da mezze calze. Gli eroi fanno paura, perché dimostrano che si può essere migliori: ai cinici, ai pigri, ai mediocri questo dà fastidio, perché disturba l’immobilismo delle loro coscienze. Meglio trascinare tutto in giù, per consolarsi: i migliori non esistono, non si può andare più su di così. Non siamo noi che non facciamo lo sforzo di salire: è che più su non si può, è tutta una favola. Così ci si accontenta di qualche mito per decerebrati: Lady Diana e la coppia Meghan & Harry stanno simpatici per questo, perché sono personaggi qualunque. Gli occidentali del Terzo Millennio non chiedono figure maestose da ammirare, ma debosciati con cui identificarsi.
Siamo in un mondo di ovatta.
Succede allora, proprio là in Inghilterra (e spiace, tantissimo, fare ironia su qualcosa a Londra e dintorni, rischiando di far ghignare i servetti rancorosi perché Boris Johnson e compagnia cantante si sono sottratti alla schiavitù brussellese), in pieno agosto 2021 (“mica nel Medioevo, epoca buia e di terrore!”), che l’istituzione shakesperiana del Globe Theatre faccia precedere una rappresentazione di “Romeo & Giulietta” da un “disclaimer” per avvisare gli spettatori: la tragedia, dice il cartello, presenta elementi forti. Si arriva a precisare che se i personaggi prima simulano, poi commettono davvero suicidio, gli attori lo inscenano sempre.
“Questa rappresentazione di Romeo & Giulietta parla dei problemi che i giovani d’oggi affrontano. Gli attori discutono di problemi mentali e suicidio” – dopo questa banalità, comincia l’elenco di precisazioni: ci sono, in scena, momenti di tensioane e violenza (attenzione, gli spettatori millennial più delicati potrebbero svegliarsi dal torpore in cui vivono tutto il santo giorno); ci sono combattimenti sul palcoscenico, ma sono simulati e non vanno imitati (come dice la televisione americana ai bambini: “don’t try this at home”); il combattimento è finto, e nessuno si fa male per davvero (perché, di solito come funziona?); si vedranno sangue e vomito, ma saranno finti (eh no, se il sangue è finto il biglietto va rimborsato…); verso l’inizio, musicisti e attori produrranno suoni improvvisi e urla (grazie dell’avviso, stavolta sono d’accordo); durante la messinscena ci saranno degli spari, ma con armi finte, perciò gli spari sono innocui (allora non vale…); la colonna sonora include degli ottoni (pericolosissimi); musicisti e attori indossano maschere da animali durante il ballo dei Capuleti (no, pietà, tutto ma le maschere da animali no, vi prego!); durante il monologo di Mercuzio, i musicisti suonano girando per il teatro (che sia un’imboscata?); durante il ballo dei Capuleti, c’è il karaoke, e gli attori cantano usando un microfono: il volume può essere elevato (qui c’è gente che domani ha la sveglia puntata presto, basta schiamazzi!); durante la scena del ballo dei Capuleti, alcuni attori urlano l’uno contro l’altro (che inferno, questo ballo dei Capuleti…); Mercutio lancia dei petardi (ragazzaccio!); verso la fine della rappresentazione, quando Romeo beve il veleno, l’attore finge di vomitare avere le convulsioni: ma non succede davvero, sta recitando (mamma mia che spavento… allora non dobbiamo chiamare l’ambulanza?); alla fine, Giulietta si spara: ma l’attrice recita, non si fa male (come il Piccolo Principe di Saint-Exupéry: sembrerà morta, ma non sarà vero).
Che bello l’Occidente fighetto del Duemila, non siamo mica nel Medioevo! Che belli il vittimismo, il mondo ovattato, l’isteria dei “diritti civili”. Parafrasando Edoardo Sanguineti: piangi piangi, fighetto millennial, che ti compro i diritti arcobaleno, che ti metto la mascherina; piangi piangi, fighetto millennial, che ti compro la società multirazziale e la “cancel culture”; piangi piangi, fighetto millennial, che ti compro la droga legalizzata, la famiglia sfasciata, la società laicizzata, l’Europa burocratizzata; piangi piangi, che ti compro l’analfabetismo di ritorno dei “nativi digitali” che non sanno scrivere a penna, Tik Tok e gli “influencer”, il ribrezzo per la “mascolinità tossica”, i laureati che non sanno le capitali europee, gli schiavetti dell’UE, il culto della personalità per Draghi; piangi piangi, che ti faccio crescere con le spalline strette e le manine lisce, che ti metto la mascherina e ti insegno l’arte della delazione; piangi piangi, che ti faccio stare chiuso nella cameretta e ti faccio strillare contro chi ne esce, che ti porto da psicologi e psichiatri che ti danno antidepressivi perché no, la vita non si affronta, alla vita si rinuncia.
Sarà una bella società, dicevano: e guarda cosa ti hanno donato, liberandoti dai problemi del mondo reale, dalle asprezze, dalle durezze, dagli impegni, dalla fatica, dalla meritocrazia, dall’eccellenza. Guarda in cosa ti hanno trasformato, esserino nevrotico e levigato, smidollato conformista, da rassicurare se mai gli capitasse di andare a teatro e vedere delle scene di lotta: tranquillo, fanno solo finta, non è successo niente, ora ti riportiamo a cuccia a ingozzarti di stronzate morbide e lisce, come le tue guanciotte. Ribadisco un verso di Sylvia Plath che riportai alla fine d’un altro articolo (“Hollywood LGBT/ Pronto soccorso per star decadute”, 4 dicembre 2020): queste sono le lente colpe che uccidono, e uccidono, e uccidono.
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