I diritti dei lavoratori? In Europa potrebbero avere i giorni contati. E non si tratta di un’esagerazione giornalistica. La colpa, o il merito, a seconda dei punti di vista, è del Trattato transatlantico di libero scambio, meglio noto come Ttip.
Di cosa si tratta? Pochi lo sanno nel nostro Paese. E non per colpa loro, ovviamente. Perché proprio questo che è stato, a ragion veduta, uno dei temi più battuti della campagna elettorale europea in ogni angolo dell’Unione, da noi non è stato neppure sfiorato, presi come eravamo a dibattere di temi d’attualità come Hitler o Berlinguer.
Il suo impianto generale è molto semplice: si tratta dell’istitituzione di una free trade zone, cioè di una zona di libero scambio, tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America. Visto così il progetto sembra non fare una piega ed è anzi promosso a pieni voti da tutte le istituzioni che contano in un tripudio di celebrazioni global-capitaliste, dello stesso tipo di quelle già viste per l’introduzione e le deregolamentazioni della Moneta Unica.
Il problema tuttavia si pone perchè, allo stato attuale, il Ttip permetterà, tra le altre cose, a qualsiasi azienda di portare in tribunale i Governi, tra quelli aderenti al trattato, le cui leggi dovessero arrecarle un danno economico. Per fare un esempio pratico significa più o meno che, se una multinazionale volesse togliere tutele ai propri lavoratori qualora questo fosse permesso da un’altra tra le nazioni aderenti al trattato, potrebbe portare il Governo di fronte al giudice e, a fronte di un’eventuale sentenza favorevole, modificare di fatto la giurisprudenza di quello stesso Stato in materia di sicurezza sul lavoro.
Si tratta insomma dell’ennesimo provvedimento iperliberista e turbomercatista che andrà a vantaggio di corporation e multinazionali (si parla di un incremento del volume d’affari di 120 miliardi di euro, ndr) e a danno dei popoli europei, i quali vedranno immolati in nome del profitto i propri diritti. Ed esattamente come già avvenuto per altre iniziative di questo tipo, come il Trattato di Lisbona o il Fiscal Compact, il processo di approvazione non è certamente definibile come democratico o partecipativo.
Infatti le trattative vengono portate avanti ormai dal 2010 a porte chiuse tra il Governo statunitense e la Commissione europea, i quali, a fronte delle proteste di alcuni parlamentari, si sono premurati di spiegare che nella stesura sono state coinvolte 120 organizzazioni di categoria e associazioni. Ovviamente il particolare omesso è che nessuna di queste è stata democraticamente legittimata a rappresentare i cittadini europei.
Bene, ora la domanda che sorge è: come stanno agendo i politici italiani di fronte a quello che è l'”assalto finale” dell’economia non solo alla politica, ma all’intera società? All’elettore cui lo scorso 25 maggio fosse venuta la malaugurata idea di votare Matteo Renzi sarebbe giusto a questo punto far sapere che il suo attuale premier è tra i maggiori sponsor dell’iniziativa e anzi ha recentemente affermato che tale progetto va approvato “entro i prossimi dodici mesi”.
E se per caso in futuro quello stesso elettore dovesse vedere le proprie tutele contrattuali scomparire non si lamenti. L’ha voluto lui.
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