L’Italia, una delle nazioni che può vantare una delle migliori tradizioni canore al mondo, all’Eurovision Song Contes, ha vinto solo tre volte in 64 anni di storia. Un’onta! La prima volta nel 1964 Gigliola Cinquetti con “Non ho l’età”, nel 1992 Toto Cutugno con “Insieme”, e nel 2021 i Måneskin con “Zitti e buoni”.
Premesso che molto probabilmente queste gare sono tutte truccate, e dietro ci sono potenti pressioni di case discografiche e interessi economici e persino “ideologici” ben precisi, allo scopo di formare e cristallizzare l’egemonia “radical-chic”, ma non posso fare a meno di notare che la “terza” vittoria italiana (da tanti italiani festeggiata per banale patriottismo canterino), ha visto trionfare una canzone e un gruppo, totalmente privi di reale talento musicale, con testo “finto ribelle” e puro rumore al posto delle note; alla fine totalmente conformista con la dittatura del “Pensiero Unico”.
Dove non sono arrivati Modugno, Mina, Paoli, Tenco, Bindi, Lauzi, Endrigo, De André, Battisti, Dalla, solo per fare alcuni nomi, sono arrivati i Måneskin, ovviamente senza tenere conto che il loro brano è rock, e – capisco le sperimentazioni e le contaminazioni – ma non credo si possa dire che rappresenti la tradizione della canzone italiana. Cosa c’è dunque da festeggiare? Se per vincere dobbiamo piegarci, e rinnegare la nostra cultura, facendo marchette, è meglio non vincere. Non abbiamo più nessuna identità nazionale né dignità, completamente colonizzati da un modello omologato e globalizzato di pseudocultura. E se devo ascoltare il rock, preferisco mille volte i “Beatles” o i “Queen”, e non certo questi qua. La musica è morta, la civiltà è finita, siamo nella fase finale della storia.