Per una volta è da concordare con la Meloni, avvedutatosi tempestivamente della pericolosità letale del “partito” unico, già sperimentato da Berlusconi con effetti al limite dell’estinzione per la Destra, ma è da respingere e da rifiutare l’editoriale di Panebianco (“Le elezioni, il futuro. Il declino del centro (per ora)”, di appassionata quanto accorata esaltazione del centro all’ombra e sulla scia di un vecchio e superato insegnamento di Giovanni Sartori e nella imitazione conformistica e modaiola di Macron, eletto con una percentuale ridicola, sulla quale è steso un impenetrabile manto grazie alla matrice del personaggio.
Ad avviso del cattedratico starebbe per consolidarsi un nuovo bipolarismo, il bipolarismo M5S / Lega ma si anima e si consola ritenendo che “l’esperienza storica, lo storia della democrazia, ci dice che nessun bipolarismo può diventare durevole se la sua affermazione si accompagna allo “squagliamento” del centro”.
Non viene considerato nella misura logica adeguata e con l’equilibrio critica necessario che a determinare il risultato del voto non sono stati uno scandalo colossale, una crisi finanziaria, una catastrofe apocalittica ma la libera ed aperta espressione di volontà dei cittadini.
Panebianco, nell’esprimersi, apertamente lamenta che le elezioni “hanno aperto un vuoto politico, anzi una voragine, nel centro dello schieramento sono venuti meno […] i punti di riferimento politico dei “moderati”, ossia, precisamente, degli elettori centristi”. Auspica che “la eventuale futura stabilizzazione della democrazia italiana richiede che quel vuoto venga riempito”. Ma i “moderati” non sono caduti vittime di cataclismi o di epidemie ma hanno bocciato, come dovevano fare, gli errori politici e sociali e l’inconcludenza del governo Renzi – Gentiloni, non hanno accettato la linea prepotente ed inconcludente, geneticamente superficiale, di Berlusconi ed hanno scelto una via principalmente ed essenzialmente antitetica, dominata, chissà se non in modo apparente, da due elementi banali e meschinamente preparati, quali Salvini e Di Maio.
Dei guasti ora esplosi, gettando uno sguardo panoramico sulla sinistra, scriveva in termini efficaci e centrati anni addietro Dino Cofrancesco: “In Italia assistiamo a uno spettacolo, per certi aspetti, sconcertante e incomprensibile. Tutto il sistema politico [allora e tutto lascia intendere anche dopo il 4 marzo] si muove nella palude stigia di un clientelismo economico – politico istituzionalizzato sempre più simile a una mostruosa piovra biblica ma, al di sopra di questa “feccia di Romolo” si librano guerre di idee e conflitti di valori non meno violenti di quelli che caratterizzano le grandi epoche di trasformazioni sociali. Non è assurdo tutto questo? No, non lo è giacchè, a ben vedere, l’estremismo ideologico antifascista svolge una funzione insostituibile, quella di tenere insieme il vasto arcipelago delle sinistre che, nelle sue frange estreme , è sconvolto dal pragmatismo delle “sinistre di governo”, incarnato da Matteo Renzi”. Mentre per la destra non nasconde – ed è impossibile respingere l’interpretazione – che il liberismo del partito, per dirla con Ignazi, “patrimonialleninista” ed il leghismo reagiscano mettendosi “fuori della comunità nazionale e della storia” e finiscano con il generare la vignetta di Giannelli su Salvini a “Porta a porta” e la frase, davvero non infondata, “Sono venuto per una appendice al contratto di Berlusconi”.