Finalmente l’Italia. Da qualsiasi angolazione si osservi, la vicenda Aquarius e il ruolo del suo artefice Matteo Salvini hanno un merito chiaro e indiscutibile: aver rimesso al centro della scena mediterranea ed europea l’interesse dell’Italia e degli italiani. Tra i bisogni e le pretese dei migranti, i ricatti dei paesi di transito e quelli d’origine e gli egoismi dei cosiddetti partners europei, per la prima volta l’Italia si libera dalle catene dell’inerzia e batte i pugni sul tavolo di Bruxelles, imponendo nello stupore generale il punto di vista del Paese esposto più d’ogni altro all’ondata di sbarchi.
La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso della pazienza di Roma, è quella della nave Aquarius e dei suoi 629 passeggeri, sbarcati a Valencia in un tripudio di striscioni e telecamere dopo nove giorni di navigazione, per il rifiuto di Malta e dell’Italia di autorizzare lo sbarco in un proprio porto. Uno sbarco celebrato dai media di mezzo mondo come un gesto eroico del governo spagnolo ma in realtà avvenuto, ancora e per l’ennesima volta, grazie al contributo dell’imbarcazione di un’organizzazione non governativa e al consueto ingente sforzo del nostro Paese, impegnato con la nave Dattilo della Guardia Costiera e l’unità Orione della Marina militare a garantire il salvataggio e l’approdo sicuro della totalità dell’intero carico umano.
Così, a dispetto del beffardo e provocatorio striscione di benvenuto srotolato da ong e volontari spagnoli nel molo di Valencia con su lo slogan “Benvenuti a casa vostra”, i circa 600 giornalisti giunti da oltre 160 paesi per l’evento hanno potuto toccare con mano la sconcertante ipocrisia di cui è malato il Vecchio continente. Infatti, per chi si fosse fatto l’idea di una Spagna buona e oltremodo generosa che pone rimedio alla cattiveria di un’Italia egoista e cinica accogliendo l’Aquarius, sarebbe bastato porre attenzione alla povertà morale di chi ha autorizzato all’alba di domenica lo sbarco dei migranti in un anfratto nascosto del porto industriale, al riparo di capannoni e petroliere e a distanza di sicurezza dalla zona dedicata a turisti, yacht e navi da crociera.
Uno sbarco che in realtà non metterà gli immigrati al riparo dalle leggi spagnole, assai inflessibili nel segnare la sorte dei malcapitati con un’attesa estenuante che culmina, nella quasi totalità dei casi, con un rimpatrio forzato. Altro che generosità spagnola, e se non bastasse la legge ci pensa il presidente Sanchez a ripetere come un mantra che chi non ha le carte in regola «in Spagna non può restare», a testimonianza della politica di respingimenti e rimpatri adottata da oltre un decennio dai governi di Madrid. Una politica dell’accoglienza che si può ben condensare con gli oltre 20 chilometri di barriere di filo spinato con cui il governo di Madrid ha cinto le sue enclaves in terra africana di Ceuta e Melilla: barriere alte tre metri e corredate di vigilanti e sistemi d’allarme (vedi foto), erette per bloccare sul nascere il fenomeno degli arrivi. Una politica che ha consentito di registrare nel 2016 l’arrivo di appena 8 mila migranti, a fronte dei 181 mila approdati in Italia, e poco più di 20 mila nel 2017, quando nello Stivale si registravano 119 mila approdi. Numeri che testimoniano in modo inequivocabile come la realtà sia di tutt’altro segno rispetto alla faccenda di Valencia.
Evaporata con la fermezza salviniana un’ipocrisia lunga decenni, finalmente sembra stringersi il cerchio sulla politica dello scaricabarile in sede di Unione europea e su un fenomeno, quello degli sbarchi, che sembra confondersi come sempre, in una opaca nebulosa fatta anche di interessi malcelati e business poderosi. Un vero affare consumato sulla pelle di disperati pronti a tutto pur di sbarcare sulle nostre coste e sulle tasche degli incolpevoli cittadini italiani, costretti a farsi carico da soli di una situazione divenuta nei fatti intollerabile. Quello che ormai è evidente a tutti è che i barchini fatiscenti che trasportano i migranti, stracolmi fin dalla partenza dalla Libia, non sono diretti verso le coste di nessun paese per la semplice ma innegabile ragione che si avventurano in mare aperto sapendo di poter percorrere soltanto poche miglia. Sin dalla partenza gli scafisti hanno un unico obiettivo: raggiungere le navi delle ONG, che li attendono spesso al limite delle acque libiche e talvolta all’interno delle stesse acque territoriali di Tripoli. Una pratica, quella delle ONG, in tutta evidenza ai limiti della legalità, e che a tanti sembra configurare il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Comunque la si pensi, nessuno può ormai negare che questa nuova intransigenza italiana ha tolto il velo sull’ipocrisia delle istituzioni comunitarie e costretto paesi come Germania, Francia e la stessa Spagna a uscire allo scoperto. Di certo, nessuno dalle parti di Bruxelles può più concedersi il lusso di pensare che quella dell’immigrazione sia solo un impegno italiano.