Nel momento in cui l’Italia sembra riaffacciarsi alla normalità, con un governo di (quasi) unità nazionale, lieve fiducia nel futuro e con meno interventi dei virologi in televisione, ecco che rispuntano i “memento mori” del CTS, Ricciardi e gli ingegneri dei grafici che ci spiegano che serve un lockdown totale e che siamo in grave pericolo. Questa comunicazione pessima, che arriva soprattutto da persone che hanno fallito in tutto e per tutto nella gestione della pandemia, riflette probabilmente anche un malcelato desiderio di essere sulla cresta dell’onda. Psicologicamente, bisogna capire che persone sconosciute fino a un anno fa abbiano ottenuto in poco tempo potere, forza mediatica e ruoli apicali in un Paese alla deriva. L’essere tornati in secondo piano comporta anche questo: sentirsi abbandonati e relegati a ciò che erano prima. E molti forse non ci riescono.
Altra questione è invece il fattore sanitario, su cui vige un silenzio che sembrava aver ridato normalità a un Paese devastato. Chiaramente non era così semplice: il problema è che bisognava mostrare di non preoccuparsi troppo con la campagna di vaccinazione che è tecnicamente un disastro. Siamo a metà febbraio e forse iniziamo con gli over 80, centralini in tilt e dosi inconsistenti. Il tutto mentre Arcuri è ancora saldamente a capo di un meccanismo che ha pensato alle primule in piazza ma non alle dosi da somministrare né alla riorganizzazione degli ospedali, né alla formazione né ai soldi. Insomma, il silenzio non era causato dalla normalità, ma il contrario: era il silenzio a provocarla. Ed era francamente bellissimo non parlarne più.
Evidentemente ora non è così. Passato il governo che aveva in mano la tv e in cui lo spin doctor Rocco gestiva la comunicazione per far capire che tutto era pessimo (quindi niente voto) o che tutto era splendido (quindi niente crisi) ecco che spiccano il volo i falchi. Saranno mesi duri: l’anno scorso tutto esplose a marzo. Il coronavirus esiste, i vaccini di massa no. E questo sarà un grosso problema.