La recente “invasione” di Ceuta – città spagnola sulla costa nordafricana – da parte di alcune migliaia di persone, che hanno raggiunto il territorio spagnolo semplicemente camminando nell’acqua bassa della costa o a nuoto, mostra una volta di più come l’immigrazione sia ormai assimilabile ad una vera e propria “arma”, come del resto teorizzava già qualche anno fa Kelly Greenhill nel suo “Armi di migrazioni di massa”. Non, infatti, ad un’improvvisa fuga verso l’Eldorado europeo si è assistito tra lunedì e martedì in quel di Ceuta, piuttosto ad una deliberata azione di ritorsione da parte del Marocco nei confronti della Spagna: a dare “luce verde” a circa 8mila persone assiepate lungo il confine è stato, di fatto, il governo di Rabat che, d’improvviso, ha allentato prima e fatto cessare del tutto poi i controlli di polizia e guardia costiera lungo il confine ispano-marocchino.
La repentina crisi migratoria che ne è scaturita rappresenta la “punizione” di Rabat per l’ospitalità che Madrid ha riservato a Brahim Ghali, uno dei leader del Fronte Polisario, l’organizzazione che si batte per l’indipendenza del Sahara Occidentale, ex colonia spagnola annessa de facto dal Marocco all’indomani della ritirata del Tercio nel 1975. Forte del recente riconoscimento statunitense dell’annessione degli ex territori spagnoli – seppur in via informale – quale contropartita per la sottoscrizione degli Accordi di Abramo destinati a normalizzare i rapporti con Israele, Rabat non intende accettare intrusione nella questione del Sahara Occidentale. La stessa ambasciatrice marocchina a Madrid Karima Benyaich, del resto, ha commentato la vicenda sottolineando che “ci sono atti che comportano delle conseguenze e bisogna accettarle”. Più chiaro di così!
Quanto accaduto a Ceuta ad inizio settimana lo dimostra in maniera esemplare: la bomba migratoria viene fatta esplodere senza preavviso, costringendo il governo di Pedro Sanchez ad interventi immediati e drastici. Il premier spagnolo – un socialista, si badi – ha immediatamente disposto l’intervento dell’esercito e il rimpatrio degli immigrati entrati illegalmente a Ceuta: in meno di 48 ore oltre 4.800 persone sono state già rimpatriate. Madrid saggiamente scegli di non attendere improbabili aiuti europei ed agisce di conseguenza. Scelta opportuna, considerato che ad oggi da Bruxelles non arriva niente di più che lo scontato tweet della von der Leyen: “L’Ue è solidale con Ceuta e la Spagna. Abbiamo bisogno di soluzioni europee comuni per gestire le migrazioni. Possiamo raggiungere questo obiettivo se raggiungiamo un accordo sul nuovo Patto sulla migrazione”. Aria fritta insomma, buona evidentemente per Roma ma non per Madrid.
A dispetto della pronta reazione spagnola, il problema tuttavia resta nella sua gravità: è evidente, in una prospettiva più ampia di quella relativa al caso di Ceuta, che la lezione del sultano Erdogan sull’uso strumentale della pressione migratoria ai confini europei è stata ben appresa. Con la drammatica eccezione proprio dei Paesi europei. Sempre più questi ultimi nel prossimo futuro saranno esposti alla minaccia – ed alle conseguenze – di questa “arma asimmetrica”, tanto più insidiosa perché agisce all’interno di società che sul piano culturale e morale non sono in grado di opporre alcunché ai richiami ad un generico umanitarismo e ad una solidarietà irrazionale – uniti al senso di colpa che sempre più si pretende gravi sugli europei per la loro storia – che l’impiego di tale “arma” comporta.
Nelle nazioni della Vecchia (non a caso) Europa lo stato d’animo generale è quello magistralmente descritto in un libro “profetico” pubblicato nell’ormai lontano del 1973: “Il campo dei santi”. Anche la fine della storia sarà identica, solo – probabilmente – molto meno epica: le ricche, grasse e pigre società europee evidentemente non meritano neanche quella.