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Il caso Cucchi e le “macellerie messicane”

di Piero Visani
14 Ottobre 2018
in Il punto
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Il caso Cucchi e le “macellerie messicane”
       

       Magari ci si mettono dieci anni, e ci vuole una confessione; magari se ne mettono di meno, e una volta di più ci vuole qualcuno che rompa il muro dell’omertà (peculiarità tipica delle strutture istituzionali, a quanto pare, forse appresa nel corso di lunghe e fitte trattative stato-Mafia), magari anche per evitare di incorrere nel reato di tortura… In ogni caso, queste situazioni tendono a ripetersi con preoccupante frequenza e testimoniano di un Paese in cui le istituzioni sono privatizzate ad uso e consumo di chi in quel momento ne faccia parte.
       Certo nessuno di questi soggetti ha a che fare con mammolette, certo i rischi non sono proporzionati agli stipendi, certo le frustrazioni che occorre subire sono grandi, ma spesso non si comprende per quale ragione profonda venga troppo spesso superato un limite etico (e anche estetico, mi sentirei di dire). Le forze di sicurezza, in quasi tutti gli Stati, hanno sempre goduto di larghi margini di discrezionalità e talvolta anche di impunità, ma quello che talvolta non pare venire compreso è che il rapporto con il singolo cittadino non è di tipo privatistico, ma istituzionale, e tale constatazione dovrebbe porre un solido freno a molti comportamenti eccessivamente disinvolti, non certo renderli leciti.
       Personalmente non mi è neppure chiaro per quale ragione, su un certo versante politico, certe istituzioni vengano difese a prescindere, come se quel versante politico non avesse avuto alcuni evidenti problemi (e anche qualche gratuito caduto…) nei rapporti con tali istituzioni e avesse MAI tratto vantaggio da tale solidarietà, che è quella che si dà ai federales messicani (con tutto il rispetto per questi ultimi), non alle forze dell’ordine di un Paese civile (ammesso e per nulla concesso che l’Italia lo sia), che non giova moltissimo in termini elettorali e fa grave danno in termini di immagine.
       Il caso Cucchi, come quello della scuola Diaz o il caso Uva o moltissimi altri, possono avere avuto esiti processuali alquanto diversi, ma l’esito stesso era sempre un po’ quello relativo a gente che entrava in certe situazioni viva e ne usciva o morta o vulnerata in maniera permanente. Tutto ciò mi pare alquanto singolare e – per quanto mi riguarda – danneggia in misura notevolissima l’immagine delle decine di migliaia di membri delle forze dell’ordine italiane, che non solo si comportano quotidianamente in maniera eccellente, ma spesso la vita la rischiano e la perdono, a tutela della comunità nazionale, non per infierire su qualche malcapitato, gradevole o meno che costui possa essere.
Non può che risultare positivo, dunque, il fatto che le “mele marce” siano denunciate dai loro stessi colleghi, perché questo fa benissimo all’istituzione, mentre l’omertà (tanto più se trova riscontro pure negli alti gradi) la danneggia pesantemente.
Tags: carabinieriforze dell'ordinegiustizia
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