Attendevo da mesi l’uscita nelle sale cinematografiche de “Il cattivo poeta”, scritto e diretto da Gianluca Jodice. Se il nome del cineasta non vi dice nulla, è perché si tratta del primo lungometraggio del regista. Nato a dicembre del 1973, il futuro regista si è laureato in filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II e finora aveva girato solo documentari e cortometraggi, vincendo diversi premi. La programmazione prevedeva l’uscita della pellicola nelle sale italiane per novembre 2020, ma per le chiusure dei cinema a causa della pandemia di Covid-19, è stato posticipata al 20 maggio 2021. Il film, grazie all’ottima interpretazione di Sergio Castellito, sta già scalando la classifica e questo è buon segno.
Piccola curiosità. Nella sala, in attesa che iniziasse la proiezione, sentivo delle signore (abbastanza anziane) sussurrare tra loro. Quello che sono riuscito ad afferrare è stato illuminante. Una signora diceva di essere venuta a vedere questo film perché su d’Annunzio non sapeva nulla, perché nelle scuole se ne parlava poco e niente. Quest’affermazione descrive il clima culturale che l’Italia ha vissuto per decenni a partire dal Secondo Dopoguerra, dove l’egemonia dell’intellighenzia marxista-leninista, ma anche il clima clericale e confessionale del potere politico democristiano allineato a un’idea universalista com’è quella del cattolicesimo, erano avversi a qualsiasi anelito “patriottico”. Il che significa che – malgrado le resistenze – qualcosa sta cambiando nella cultura italiana e basterebbe questo per giudicare positivo lo sforzo di Jodice nello “sdoganare” un personaggio scomodo come il Vate e rimettere in discussione la dittatura del “Pensiero Unico”.

Il film non è certo un capolavoro e non si faccia illusioni chi spera in un’opera “nostalgica” del “Ventennio”. Il regime fascista e il Duce ne escono non bene. È un film “antifascista”. Ma – pur non conoscendo le idee politiche di Jodice – può essere letto come una critica “da destra” al fascismo, o alla sua deriva finale quando abbracciò nazismo e antisemitismo. Questo perché, l’immagine di d’Annunzio, ne esce glorificata. Non sono nascosti, vizi, difetti, acciacchi, eccessi, come la sua ossessiva attività sessuale e l’uso della cocaina dalla quale ormai era dipendente (del resto è storia), ma la figura di d’Annunzio come poeta-soldato, reduce della Grande Guerra, ed eroe rivoluzionario dell’Impresa di Fiume è resa nella sua completezza.
Se la pellicola rischia di deludere i “nostalgici del regime”, non piacerà a chi è all’allineato al culturame progressista a cui d’Annunzio, da artista e intellettuale di destra, non è mai piaciuto e ha cercato sempre di rimuoverne la memoria. Non mancano nel film difetti, taluni personaggi e aspetti del regime fascista, appaiano troppo caricaturali, macchiettisti, ed è difficile distinguere la ricostruzione storica oggettiva, dagli arbitrari soggettivi. Come quando si avvalla la tesi (mai dimostrata e poco credibile), che il Vate sia stato fatto uccidere dal fascismo o dal nazismo, perché il poeta stesse cercando di usare la sua celebrità per convincere Mussolini a non allearsi con Hitler, e allertare il popolo italiano del pericolo per l’Italia e l’Europa, dell’abbraccio mortale. Ma non è questo il punto focale. Quello che più interessa è l’eccessivo processo di defascistizzazione di d’Annunzio in atto da tempo, un processo già presente negli eccellenti libri biografici e saggi storici dell’ottimo Giordano Bruno Guerri (che si mormora sia stato consulente per la realizzazione della sceneggiatura del presente film); testi quali, “D’Annunzio. L’amante guerriero” del 2008; “La mia vita carnale. Amori e passioni di Gabriele d’Annunzio” del 2013; o “Disobbedisco. Cinquecento giorni di rivoluzione. Fiume 1919-2020”.
Guerri, attualmente presidente e direttore generale della Fondazione Vittoriale degli Italiani, è un personaggio difficilmente catalogabile. In passato elettore del Partito Radicale, con la nascita della Seconda Repubblica ha scelto il Centrodestra, definendosi “anarchico di destra” e “culturalmente fascista”. È quindi indubbiamente un intellettuale di destra, e come storico ha il dono di trasformare ogni suo libro in un capolavoro, sempre scorrevole e piacevole da leggere. Ma la sua “defascistizzazione” di d’Annunzio è eccessiva e forviante.
È vero che tra il Vate e il Duce c’erano attriti, rivalità, diffidenze: un rapporto d’amore-odio. È vero che d’Annunzio avversava l’alleanza con la Germania nazista e odiava Hitler e l’antisemitismo, ed era per intelletto e cultura lontano anni luce dal becero squadrismo. Ma c’è differenza tra l’essere antifascista e “fascista critico”. Il rapporto che c’era tra d’Annunzio e Mussolini, non era poi molto dissimile da quello che poteva esserci tra Che Guevara e Fidel Castro, amore-odio, rivalità reciproche, appunto, ma nessuno si sognerebbe di negare che il Che fosse comunista, solo perché in rapporti ambigui con Castro, come non ho mai creduto alla leggenda che Guevara sia stato fatto uccidere su ordine di Castro. Come a sinistra molti si domandano come sarebbe stato il socialcomunismo cubano, se – invece di Castro – lo avesse guidato Guevara, a destra dovremmo chiederci come sarebbe stato il fascismo se lo avesse incarnato d’Annunzio.

È questo il punto. Se per decenni l’interventismo, l’irredentismo e l’Impresa di Fiume furono considerati il preambolo del futuro regime, la tesi di Guerri (e par di capire del film di Jodice) è quella di discontinuità. Più che “discontinuità”, s’intravede invece “un’evoluzione”, che poi è purtroppo diventata “degenerazione”. Il “vate”, dunque, “fascista critico”, anticipatore della Rivoluzione fascista e poi protagonista rimosso e deluso, sia per egocentrismo, che per effettiva repulsione per gli aspetti più deteriori (che tra l’altro non piacevano neppure allo stesso Mussolini).
Ma come sarebbe stato il fascismo se invece di guidarlo il Duce, fosse stato il poeta? Sicuramente molto diverso e probabilmente non autoritario; con d’Annunzio Duce (ammesso che età e acciacchi gli e lo avessero consentito), sarebbe stato un “fascismo democratico”. Un ossimoro che ci invita a riflettere se c’è posto – almeno nella speculazione teoretica – per l’ipotesi tentata dall’Msi di Michelini e Almirante, il tentativo (non senza inciampi) di realizzare una forza politica rivoluzionario-conservatrice che non voleva (e non poteva…) né rinnegare, né restaurare.
Ma se Guerri si adopera per la “defascistizzazione” di d’Annunzio, c’è purtroppo chi “da destra”, si spinge ben oltre e vi chi, molto “ingessato” nel suo dogmatismo cattolico e nel “nostalgismo”, che addirittura si è spinge a negare che il Vate possa essere catalogato come “intellettuale di destra” come di tanti altri illustri nomi… Un regalo a chi da sinistra, come l’impresentabile Andrea Scanzi, va sproloquiando che a destra non vi siano pensatori da 300 anni.
A destra, dovremo prima o poi affrontare il problema del “settarismo”, vizio molto ricorrente, soprattutto in ambienti ultracattolici, persone che hanno una visione limitata, chiusa, incapaci di cogliere la ricchezza della cultura di destra nella sua molteplicità. “Fascista critico” o nazionalista, Grabriele era e rimane un poeta, intellettuale, patriota, eroe e rivoluzionario. Rassegnatevi.