Visto da lontano lo strappo di Sergio Cofferati con il Pd può apparire come una questione tutta personale, provocata dalla sua delusione per la sconfitta alle primarie liguri del partito. In realtà gli argomenti dell’ex Segretario Generale della Cgil, tra i 45 fondatori del partito, nonché deputato europeo, sono tutti politici oltre che, visto il contesto, “di metodo”.
Che le primarie del Pd ligure non siano state proprio un esempio di trasparenza lo provano i voti annullati, per irregolarità accertate, in ben tredici seggi, le indagini in corso da parte della Procura e della Dia per sospette infiltrazioni mafiose, il boom di votanti extracomunitari (“… per passione politica certo, quella che ha mosso tanti ragazzi marocchini” – ha dichiarato, con sarcasmo, lo stesso Cofferati), le “mancette” date per convincere i riluttanti al voto.
Su tutti questi fatti si sono espressi i garanti del Pd e sta indagando, per gli eventuali risvolti penali, l’autorità giudiziaria. Cofferati, nel denunciarli pubblicamente, ha rincarato la dose annunciando un’imminente esposto in Procura.
Ma – come dicevamo – sono le ragioni politiche a rendere particolarmente grave lo strappo.
In sede di conferenza stampa non ne è stato fatto cenno, ma tutta la campagna elettorale di Cofferati è stata giocata in aperta polemica con la gestione decennale dell’attuale Presidente della Regione, Claudio Burlando, sponsor ufficiale di Raffaella Paita, l’altra candidata alle primarie, assessore in carica dell’attuale giunta regionale.
Gli spot elettorali di Cofferati non lasciavano dubbi, annunciando perentori “Scegli chi ha una visione nazionale ed europea diversa da chi ha gestito il potere negli ultimi dieci anni” e denunciando l’isolamento in cui “l’attuale governo della Liguria” ha fatto precipitare la regione. Annunci – come si vede – che sembrano provenire più da un partito di opposizione che da un esponente di vertice del partito di cui fa parte il Presidente della Regione.
Nel caos interno al Pd si sono poi aggiunti i rapporti tra Raffaella Paita ed il Nuovo Centro Destra ligure, i cui esponenti di vertice hanno dichiarato di appoggiare la candidata del Pd, in vista di futuri accordi per il governo della Regione, con la benedizione del ministro genovese della Difesa, la renziana Roberta Pinotti, che ha teorizzato l’opportunità di fare nascere, a livello locale, un governo di larghe intese analogo a quello nazionale.
Questo è il quadro – così come lo stesso Cofferati lo ha tratteggiato nel corso della conferenza stampa di sabato scorso, durante la quale ha annunciato il suo addio al Pd. In questo autentico tsunami politico, che sta coinvolgendo, in una ridda di dichiarazioni e di smentite, i vertici locali e nazionali del partito, brilla per assenza Matteo Renzi, il quale, dopo avere avvallato la discussa elezione dell’avversaria di Cofferati (le primarie di Napoli vennero annullate per molto meno), si è guardato bene da proferire parola, lasciando alla fedelissima Debora Serracchiani una dichiarazione al veleno: “Non si può far parte di una comunità politica dicendo: se vinco resto, se perdo me ne vado”.
Come abbiamo visto, le motivazioni dello strappo di Cofferati sono ben altre e vanno ben al di là dei ristretti confini della Liguria, mettendo in discussione i processi di selezione interni al Pd, le capacità decisionali del suo gruppo dirigente, la sua stessa identità politica.
Il machiavellismo e le sole logiche di potere evidentemente non bastano per legittimare un partito e la sua esistenza. Né è sufficiente nascondere la testa, come gli struzzi, per vedere risolti i problemi. Alla prova dei fatti però, siano i problemi, tutti interni al Pd, o quelli, ben più gravi dell’Italia, la politica dello struzzo sembra essere l’unica a cui Renzi, al di là degli annunci, è votato.