Dopo il successo per il voto delle amministrative, forse sopravvalutato sia per l’altissima astensione e sia per la particolarità del voto amministrativo rispetto a quello nazionale, per Letta e il Pd arriva il giorno della sconfitta, dura, pesante senza attenuanti e il cui carico è in gran parte proprio sulle spalle del segretario del partito. Non è un caso se nel discorso di insediamento al Nazareno, Enrico Letta stesso abbia esplicitamente fatto menzione proprio di questo DDl come una delle priorità politiche del partito. Ecco allora che l’affossamento della legge al Senato, netta, chiara e che probabilmente nasconde nel segreto dell’urna almeno una decina di franchi tiratori, proprio tra le fila del Pd, è una chiara e netta sconfitta del suo segretario. D’altra parte alla direzione del partito il giorno prima del voto in Senato il segretario era stato perentorio “L’impegno che il ddl Zan diventi legge lo prendo e lo confermo. Domani c’è un voto tagliola in Senato, chiesto da Lega e Fdi, che hanno intenzione di affossare il provvedimento. L’appello che faccio è di evitare quello che sarebbe uno schiaffo alla maggioranza della società italiana, che vuole una risposta sui temi cui il ddl Zan risponde. Questa risposta la vogliono tutti i giovani”.
Evidentemente il suo appello non è stato abbastanza vigoroso. Si sa che il carisma non può certo essere annoverato fra le doti di Enrico Letta, ma il fatto che anche per questo lui per primo si sia intestardito a voler proseguire su un disegno di legge, che conteneva in sé evidenti storture ed errori, è stato un errore grossolano, che manifesta un difetto di presunzione che francamente non sembrava appartenere al sempre pacato e incline alla mediazione, come degno erede di quel sopraffino diplomatico di suo zio Gianni Letta.
Lega e Fratelli d’Italia avevano più volte invitato il Pd a discutere, come d’altra parte è prassi nella dialettica parlamentare, su alcune modifiche migliorative del disegno di legge. Ma Letta e il Pd hanno preferito andare al muro contro muro “meglio nessuna legge che una legge decapitata.” aveva detto il senatore Alessandro Zan, primo firmatario della proposta. Ed è chiaro che con queste premesse non si può poi accusare come ha fatto Letta “loro” di essere retrogradi ed antidemocratici “Hanno voluto fermare il futuro. Hanno voluto riportare l’Italia indietro. Ma il paese sta da un’altra parte.” Queste le parole dure di Letta, dopo il voto al Senato. Immediata le replica di una di quelle probabili “loro” a cui quel messaggio piuttosto criptico era rivolto. Giorgia Meloni ha rispedito al mittente le critiche senza mezzi termini: “Patetiche le accuse di Letta, Conte e della sinistra, i primi ad aver affossato la legge sono i suoi stessi firmatari, Zan in testa, che in questa proposta hanno scritto e difeso fino alla fine norme e principi surreali che nulla avevano a che fare con la lotta alle discriminazioni”.
Ma al di là delle scaramucce politiche, siamo davvero sicuri che al di là delle dichiarazioni di qualche vip o influencer come la coppia Ferragnez, ormai diventata paladina del disegno di legge più del pd stesso, il paese fosse davvero tutto dalla parte del ddl? Considerando che lo stesso decreto è stato criticato anche da molte associazioni di gay, lesbiche e persino da chi, come Emma Bonino, certo non può essere accusata di non essere una strenua sostenitrice dei diritti civili, il dubbio sorge spontaneo. Il provvedimento era sbagliato, sia nella forma, con quel volersi arroccare sulle proprie posizioni, senza aprire ad una discussione più volte richiesta da altre forze politiche, e sia nella sostanza, perché è assolutamente impensabile, per esempio, lasciare alla valutazione di un giudice il fatto se possa essere considerato reato una semplice espressione verbale e non un atto materiale.
Non rientra, infatti, nella fattispecie atti di ‘discriminazione’ l’espressione di giudizi, che sono ancora liberi se mantenuti nell’alveo della correttezza e non ledono la onorabilità del prossimo. Domenico Pulitanò, avvocato ed emerito di Diritto penale all’Università di Milano Bicocca, in un intervento pubblicato a luglio sulla rivista giuridica Giurisprudenza penale aveva affrontato in modo puntuale questo problema. “Le norme penali (anche l’art. 604 bis) distinguono chiaramente fra atti materiali vietati e l’istigazione a compierli. Nuova fattispecie di reato d’espressione, nel ddl Zan, è l’istigazione a commettere atti di discriminazione. Le norme penali della ben intenzionata legge Zan, correttamente interpretate, possono essere dunque ragionevolmente difese per la loro valenza simbolica, sull’affidamento che non ne siano fatte forzature applicative. Ma la linea di fondo delle politiche legislative penali dovrebbe andare in una direzione ben diversa: non una messa in scena di ideologie e concezioni identitarie, non l’attribuzione al penale (al più penale) di una salvifica centralità, ma al contrario una politica di superamento della centralità del penale”.
Casualmente lo stesso pensiero espresso da molti esponenti di Lega e Fratelli d’Italia, che contestavano al disegno di legge proprio queste storture che potevano effettivamente avere delle fattispecie assolutamente contrarie alla ratio della legge. Il rischio che per tutelare qualcuno si ledesse la libertà della comunità era effettivamente alto. Altro punto controverso era quello legato alla scuola. Il disegno prevedeva che, in occasione del 17 maggio, quella che dovrebbe diventare la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. «Le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa di cui al comma 16 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107, e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». In poche parole si doveva dedicare una giornata all’insegnamento nelle scuole del rispetto dei diritti della comunità LGTB. Questo è stato uno dei punti ad aver attirato maggiori critiche dalle opposizioni, e anche su questo francamente era doveroso sedersi ad un tavolo e discutere con le parti in causa per capire se era davvero cosi indispensabile per combattere l’omotransfobia inserire argomento nel programma didattico della scuola. Il risultato è stato lo spettacolo di un Senato spaccato in due su un argomento che invece meriterebbe ben altro comportamento da parte della classe politica, che ancora una volta non ha perso occasione per strumentalizzare una questione che con la mera polemica avrebbe ben poco da spartire.