Salvo sorprese, sempre possibili nella convulsa scena politica nazionale, la composizione dell’esecutivo guidato dal già presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, rappresenta una pietra tombale sull’esuberante stagione del sovranismo italiano, fenomeno che non è mai riuscito a superare la turbolenta fase “di pancia” per dare luogo ad una solida elaborazione culturale destinata a divenire fondamenta, in seconda battuta, di una coerente proposta politica. Più per “distrazione” – i più critici direbbero demerito e/o incapacità – delle forze politiche di ispirazione sovranista che per difetto di produzione di analisi e proposta da parte del variegato universo culturale ed intellettuale che intorno a quella area politica – volente o nolente – gravita.
Nel “governo dei migliori” – con Gigino Di Maio agli Esteri? -, come è stato pomposamente battezzato il governo che succede all’infausto Conte II, entrano praticamente tutte le forze parlamentari, ad eccezione di Fratelli d’Italia. E lo fanno sulla base di un’agenda di governo – per il poco che se ne sa effettivamente – rigorosamente europeista, anche se probabilmente meno votata a politiche rigidamente liberiste sul modello “lacrime e sangue” di montiana (lugubre) memoria. Nessuna sorpresa che su una simile prospettiva di governo convergano forze liberal-democratiche – definirle socialdemocratiche sarebbe un’offesa per quel che è stata la sinistra europea del ‘900 – come Pd, Italia Viva, Leu, così come i rivoluzionari della domenica del Movimento 5 Stelle, passati dall’essere autoproclamata “forza del cambiamento” a stampella di una futura coalizione di centrosinistra allargata, in una riedizione attualizzata del rinascimentale adagio “Franza o Spagna, purché se magna”.
Qualche riflessione in più merita, invece, il centrodestra. Al redivivo Berlusconi riesce il piccolo capolavoro di evitare l’implosione di Forza Italia, che anzi ritrova una centralità da tempo dimenticata incassando ben tre ministeri. Tutti affidati a parlamentari espressione della componente azzurra più distante – se non addirittura ostile – alle componenti sovraniste della coalizione. Quella parte di Forza Italia più sensibile ai richiami sovranisti di Lega e Fratelli d’Italia viene messa nell’angolo e del resto non poteva essere altrimenti, considerata la svolta europeista del partito di Matteo Salvini. Sotto l’attenta regia di Giorgetti, non a caso chiamato a guidare un ministero chiave, la Lega compie una svolta a 180° con la disinvoltura propria di un partito post-ideologico. Molte – alcune anche fondate – possono essere le ragioni a sostegno della decisione di sostenere l’esecutivo Draghi, ma non è questo l’oggetto della nostra riflessione.
Qui interessa osservare come la svolta europeista di Salvini rappresenti una rottura forte nel percorso compiuto sinora dalla nuova Lega “nazionale”. Rottura esemplificata dai voti discordanti espressi rispetto a Front Nationale e Alternative für Deutschland, i due principali partiti sovranisti che con la Lega fanno gruppo nel parlamento europeo. Così come scompare – almeno dalle prime dichiarazioni di Salvini – ogni velleità di una politica italiana in materia di immigrazione più rigida anche a costo di uno scontro con l’Unione Europea. E del resto al Viminale siede il ministro Lamorgese … Superfluo, poi, evidenziare come l’euro sia ora un dogma anche per i leghisti, quegli stessi che solo tre anni fa davano alle stampe un pamphlet intitolato “Oltre l’Euro per tornare grandi” a firma di Claudio Borghi, Alberto Bagnai e tal Matteo Salvini. Insomma la Lega sembra intenzionata a ritornare alle origini: espressione dei ceti produttivi delle regioni settentrionali, ovvero di quei territori pienamente integrati nella catena tedesca del valore. Categoria sociale che alle istanze identitarie preferisce quelle economiche, gravemente minacciate dagli effetti di una pandemia che si sommano alla lunga crisi strutturale del sistema Italia.
Resta da considerare la posizione di Fratelli d’Italia, unico partito ad essersi collocato all’opposizione del governo Draghi, tuttavia in una posizione “patriottica e responsabile”. Un colpo al cerchio ed uno alla botte, per i più critici. Tocca dunque al partito di Giorgia Meloni innalzare il vessillo del sovranismo italiano? Quel che a prima vista sembrerebbe scontato ad un’analisi più attenta appare non essere così certo. Già la collocazione europea del partito tra i Conservatori e riformisti – gruppo di cui la Meloni è attualmente presidente – spingono Fdi verso i lidi della destra liberal-conservatrice di stampo britannico, posizione abissalmente distante da un sovranismo d’ispirazione nazional-popolare. È vero che la Giorgia nazionale ci ha abituato in questi anni a repentini cambiamenti di posizione – dall’indicazione del Partito Popolare Europeo quale approdo da raggiungere alle fotografie con Viktor Orbàn e Marine Le Pen, scatti fatti scivolare nell’oblio prontamente quando questi riferimenti sono stati considerati imbarazzanti -, tuttavia la strada intrapresa recentemente sembra essere percorsa con determinazione. A rafforzare questa impressione anche il recente ingresso della leader di Fratelli d’Italia nell’Aspen Institute Italia, “pensatoio” al cui interno convivono nomi che vanno da Giancarlo Giorgetti a Romano Prodi, da Renato Brunetta a Mario Monti. Personalità e posizioni diverse tra loro, ma certamente accomunate dall’essere abissalmente distanti da posizioni sovraniste.
Purgata Forza Italia da qualsiasi tentazione sovranista, convertita la Lega ad un europeismo di ispirazione popolare (sarà il modello Cdu quello che Giorgetti punta a realizzare con il Carroccio?), con Fratelli d’Italia incamminato lungo la strada del conservatorismo britannico, del sovranismo in salsa tricolore sembra restare davvero ben poco. È presto per giudicare se sia un bene o meno per il Paese.
Certo e ora complicato è prematuro trarre conclusioni, ma una certezza c’è, questo non è il governo dei “migliori”, come l’informazione televisiva e della carta stampata si è affannata in queste settimane a definire il nascente governo Draghi. In effetti neanche i paludati giornalisti Rai hanno avuto l’ardire di definirlo ancora così dopo l’annunci della lista di Draghi. Ma mai dire mai in queste momenti si trovano sempre giornalisti in cerca di facile carriera…..
Voi non potete azzardare ipotesi sul operato del governo Draghi e alcuni di voi hanno scritto che le qualità di Draghi sono indiscutibili avvalorando ciò con il curriculum ma omettendo però che fu Draghi a dare inizio all’esproprio fallimentare di aziende di stato in favore della solita cricca degli amici degli amici, (loro queste operazioni le chiamano privatizzazioni) e ora ci verrà a spiegare che dopo che queste aziende sono state spolpate e versano in fallimento lo stato (cioè noi) dovremmo ricomprarle magari a costi “politici”. Appunto vedremo cosa accadrà per Alitalia, Ilva, MPS, Autostrade per l’Italia ecc. ecc. un detto popolare recita “il lupo perde il pelo ma non il vizio”
Se ora si dice che chi aderisce alla maggioranza fa gli interessi dell’Italia per assioma devo dedurre che prima cazzeggiavano ?