Da una parte Joe Biden riconosce il genocidio degli armeni provocando la reazione stizzita di Ankara. Dall’altra parte proseguono le trattative tra Stati Uniti e Turchia per definire l’area di azione del paese anatolico nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Non a caso lo stesso Biden aveva telefonato a Erdogan poche ore prima della dichiarazione sul genocidio parlando di rapporti bilaterali e di un incontro che si terrà a giugno.
Quello che è certo è che non è tutto così lineare come può sembrare dopo la presa di posizione pubblica del presidente Usa o tantomeno dopo che gli Stati Uniti hanno rimosso la Turchia dal programma degli F-35. Perché parallelamente a questi messaggi molto netti da parte dell’amministrazione statunitense, esistono diverse aree in cui Washington e Ankara appaiono ben intenzionate a negoziare. C’è l’Afghanistan, dove i turchi sono diventati un interlocutore particolarmente importante in vista del ritiro americano. C’è il Mar Nero, area in cui la Turchia non solo ha le chiavi per l’accesso in base alla Convenzione di Montreux ma anche solidi rapporti strategici con l’Ucraina e la Romania. E infine, e soprattutto per quanto riguarda l’Italia, c’è la Libia. Un territorio fondamentale per la strategia di Roma ma anche di Ankara e in cui i turchi, dopo il pieno sostegno militare a Tripoli, hanno messo più di un piede.
Queste aree sono centrali per la Turchia, ma altrettanto importanti per gli Stati Uniti. E la loro importanza risiede, in particolare per Mar Nero e Libia, nel fatto che questi due settori sono due punti di scontro molto rilevati nella nuova cortina di ferro con la Russia. Le coste settentrionali del Mar Nero e le basi della Cirenaica sono infatti due fronti di questa guerra latente tra Mosca e Washington. E la presenza militare russa, se non è eliminabile, secondo il Pentagono va di certo contenuta.
La Turchia, per la presenza militare in Tripolitania e per gli accordi militari e politici con l’Ucraina, rappresenta un partner decisamente interessante per gli Stati Uniti. Ha già dimostrato di saper mettere i bastoni tra le ruote (e allo stesso tempo dialogare) con la Russia. Sa come gestire le milizie, e soprattutto ha mostrato una buona capacità militare soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo dei droni e della flotta, elementi imprescindibili nella sfida che si svolge contro la Russia in queste due aree del Mediterraneo allargato. Questi elementi aiutano a capire perché gli Stati Uniti, al netto di prese di posizioni importanti contro la Turchia, di fatto non hanno mai reso impossibile il dialogo con il governo di Ankara, evitando di tagliare definitivamente i ponti. Recep Tayyip Erdogan rimane, per Washington, un interlocutore necessario.
Il problema riguarda però anche l’Italia. E molto da vicino. Il 20 aprile, infatti, è avvenuto un incontro (passato molto in sordina) e che è stato reso noto con uno striminzito comunicato da parte del ministero della Difesa turco. In questo vertice erano presenti il ministro della Difesa Hulusi Akar, il comandante delle forze congiunte di Napoli, ammiraglio Robert Burke, l’ambasciatore Usa ad Ankara David M. Satterfield e l’ammiraglio Adnan Özbal, comandante delle forze navali turche. Ufficialmente non si conosce di cosa si sia discusso tra le parti, ma alcune fonti hanno riferito che tra i temi oggetto dell’incontro vi è stata sicuramente la Libia. E le notizie per l’Italia non sembrerebbero positive visto che le fonti molto vicine al dossier hanno riferito che ad Ankara si sussurra che il governo avrebbe strappato da Washington l’appoggio alle operazioni in Tripolitania. Lo scopo del sostegno ai turchi sarebbe quello di renderli pienamente protagonisti del contenimento anti russo. Una missione che gli Stati Uniti vorrebbero assegnare alle forze Nato, ma con la Turchia in un ruolo di primo piano.
Impossibile avere conferme ufficiali di quanto trapelato da questo incontro. Da parte turca c’è chiaramente voglia di mostrare questa presunta sinergia con gli Usa per far capire di essersi di nuovo allineati a Washington, così come da alcuni segmenti del mondo arabo. Non a caso l’unico media a parlare dell’incontro in questi termini è il quotidiano panarabo Asharq al-Awsat. Va però detto che lo stesso Akar ha ricevuto nemmeno due giorni dopo dal vertice il generale Mohamed Elhadad, capo di stato maggiore libico, insieme al generale turco Yaşar Güler. Una coincidenza che forse indica che la questione libica è diventata ormai prioritaria sull’asse Ankara-Washington visto che tra i termini degli accordi con i libici vi è anche il ritiro entro poche settimane dei mercenari dal territorio della Tripolitania.
Per l’Italia e per la Grecia è chiaro che questo eventuale semaforo verde americano alle mosse turche in caso di allineamento dei piani turchi con i desiderata Usa (che potrebbe essere un’eventuale carta da scambiare sul fronte del Mar Nero) rappresenterebbe un problema strategico di non poca rilevanza. Per i greci, in caso di conferma, sarebbe un colpo durissimo ai piani nel Mediterraneo centrale e nella sfida contro la strategia anatolica. Kyriakos Mitsotakis ha spesso ribadito la necessità per Atene di intavolare rapporti solidi con tutta la Libia chiedendo l’annullamento dell’accordo sulle Zee siglato da Ankara e Tripoli. E l’incontro con Mario Draghi a Tripoli sembrava aver suggellato la volontà ellenica di coinvolgere direttamente anche l’Italia, altro paese chiaramente inciso dalla presenza turca in Tripolitania.
Italia e Grecia, dopo le parole con cui Draghi si è rivolto a Erdogan, sembrano avere interesse a migliorare sensibilmente le proprie relazioni sul fronte libico. C’è poi in ballo, secondo alcuni media, l’affare sulle navi richieste da Atene per modernizzare la flotta e in cui si è inserita anche l’Italia con Fincantieri. Operazione che potrebbe mettere un freno anche alle ambizioni francesi nel mercato bellico ellenico, ma che servirebbe anche come segnale per quanto riguarda i rapporti internazionali della Grecia (oltre che servire all’Italia). Un mosaico complesso che si divide tra i rapporti dell’Italia con due paesi partner ma tra loro totalmente avversari: Grecia e Turchia.
In ogni caso, è chiaro che tutto dipenderà sia dagli Stati Uniti che dalla Turchia. Se dai due paesi arriveranno segnali convincenti su un eventuale disgelo tattico per la gestione dell’area, per Roma e Atene sarebbe uno smacco importante. Ma l’amministrazione americana appare in questo momento combattuta tra alcune forti pressioni anti-turche (genocidio armeno e F-35 confermano) e velate ma importanti spinte per una riconciliazione. L’Italia, in tutto ciò, deve capire su quale carta puntare. Grecia, Turchia e Stati Uniti sono alla porta.