Ogni giorno dalla Libia arrivano notizie confuse di una guerra civile infinita alimentata da paesi terzi che si confrontano per rafforzare la loro leadership in Medio Oriente. Una Libia sempre più simile alla Siria anche se il blocco sociale e politico che appoggia il governo “ufficiale”, quello riconosciuto dall’ONU, è molto più debole del governo siriano. Questo se non altro ha l’appoggio senza se e senza ma di Russia e Iran e non dell’Occidente. Ma i fermenti nel grande Medio Oriente si estendono all’Iraq dove la minoranza sunnita torna in piazza, per la crisi economica, ma anche per contestare il governo sciita di Bagdad. E si ripresenteranno in Afghanistan dove USA e comunità internazionale auspicano il ritorno dei talebani per tentare di uscire dal pantano di guerra e terrorismo che dura da diciotto anni.
E’ pensabile che tutto questo sia casuale e che la Libia sia ridotta in queste condizioni per volere delle sue tribù o le sue tribù giocano una partita per conto terzi? O che la Siria sia ridotta alla crisi umanitaria più devastante di questo secolo per la voglia di democrazia del suo popolo? La partita in gioco è molto più complessa e articolata e copre tutto il mondo arabo più Turchia, Iran e Afghanistan.

Un mondo che cerca nuovi equilibri dopo il fallimento americano che voleva stabilizzare e democratizzare questa area con gli interventi in Iraq e Afghanistan. Nuovi equilibri regionali tra potenze islamiche che usano la religione come elemento identitario, con tutte le sue sfaccettature tra sciiti, sunniti, alawiti, wahabiti, curdi, alimentando lo scontro con gli ingenti proventi della industria energetica. Sono certamente potenze regionali Turchia, Iran e Arabia Saudita ma un ruolo fondamentale e sottovalutato lo sta svolgendo il Qatar che dalla fine degli anni novanta punta al rango di potenza egemone non più allineata con la tradizionale politica saudita di stampo wahabita. Ha puntato dapprima a un ruolo amichevole con gli USA fornendo la sede del comando strategico per il golfo persico e le basi logistiche di supporto alla guerra in Afghanistan e Iraq. Ma già a partire dal ‘96 con la emittente televisiva Al Jazeera che ha sede in Qatar, inizia un’azione incisiva e pressante di informazione nel mondo arabo che assume toni sempre più allineati con le tesi della fratellanza musulmana, cui il Qatar guarda con attenzione per costruire una via autonoma rispetto alla Arabia Saudita wahabita e mortale nemica della fratellanza mussulmana

Sono gli stessi fratelli musulmani al potere in Turchia e forse è bene ricordare come l’occidente abbia avallato la tesi di una democrazia islamica su modello turco insistendo perché la Turchia entrasse in Europa. Ed è Obama che dal Cairo rilancia la democrazia islamica possibile della fratellanza musulmana e saranno Al Jazeera e la fratellanza musulmana che diventeranno protagonisti della cosiddette “primavere arabe”. Si scardineranno gli equilibri esistenti verranno abbattuti “feroci” dittatori per averne altri come in Egitto e si aprirà la strada al caos politico freddamente pianificato da chi ha bisogno della instabilità per favorire il cambio di regime E dove non riesce e’ guerra civile come in Siria e in Libia o peggio ancora Yemen dove un intero popolo minaccia di scomparire sotto i bombardamenti sauditi. E’ il risultato dell’opera di penetrazione della fratellanza musulmana nel corso di decenni all’interno del tessuto religioso sociale culturale politico ed economico in tutto il grande Medio Oriente.
Le cosiddette primavere arabe del 2011 erano finanziate e finalizzate per portare al potere la fratellanza musulmana in Egitto, Tunisia, Siria e Libia (in Egitto un colpo di stato ha cacciato dal potere la fratellanza mentre la Tunisia qualche settimana ha eletto un presidente con l’appoggio determinante della fratellanza). Una piattaforma politica e territoriale necessaria per una espansione globale verso occidente con un effetto domino che alla fine doveva portare ad un califfato con al suo vertice il Qatar. Il califfato non è solo un obiettivo dell’estremismo radicale e meglio allora si comprende il ruolo strumentale dell’ISIS braccio amato e violento di un raffinato piano politico. E ancor meglio si comprende il ruolo della Turchia in Libia e Siria e l’appoggio operativo e logistico dato ai foreign fighters dell’ISIS.

Il sogno del califfato appartiene da sempre alla fratellanza fondata nel 1928 in Egitto e che attraverso gli scritti dell’ideologo Said Qutb e la propaganda ad Al Jazeera dello sceicco Al Qaradawi ha radicalizzato intere generazioni di imam, accademici, professionisti e studenti arabi. In Libia e in Siria si muovono le stesse forze e con gli stessi schieramenti, solo con modalità diverse.
Poi c’è la Russia presente in Siria con le sue forze armate e in Libia con i mercenari della Wagner. In Libia contrasta il governo di Al Serraj, quello riconosciuto dalla comunità internazionale e che è fortemente appoggiato dalla fratellanza. La tragedia libica resta comunque una guerra civile combattuta per conto terzi. Il dramma siriano è una vera e propria guerra contro il governo legittimo combattuta ufficialmente da truppe straniere sul suolo siriano e aerei israeliani che bombardano miliziani iraniani con effetti collaterali sui civili siriani. L’unica vera vittima è il popolo siriano — siano sciiti, sunniti o curdi — con il suo mezzo milione di morti I suoi quasi sei milioni di rifugiati all’estero ed i suoi dodici milioni di rifugiati interni. Un popolo che ben ricorda il genocidio ad opera dei turchi dei cristiani armeni: un milione e mezzo di morti!

Una guerra che si è riaccesa con l’invasione dei turchi del suolo siriano ove le milizie degli ex terroristi dell’Isis arruolati dalla Turchia aprono la strada ai carri armati turchi commettendo crimini di guerra sulla popolazione civile e omicidi mirati. Una azione resa possibile dal tradimento americano e dalla viltà europea nei confronti dei curdi un modello ormai dell’occidente che paga perchè altri muoiano per i suoi “valori”(era già successo con i tagiki in Afghanistan).
Il sultano Erdogan si dichiara erede dell’impero ottomano e ambisce a dominare in nome della fratellanza il suo estero vicino ma finora sul campoè stato sconfitto e con lui i suoi mercenari. Ora gioca l’ultima carta che gli resta per realizzare il suo sogno di pregare nella moschea degli Ommayadi a Damasco. Vuole arrivare a controllare la provincia di Aleppo il cuore pulsante della economia siriana per impedire la ricostruzione della Siria. La vuole ridurre a provincia povera dell’impero turco.
A parole il mondo, arabi compresi, condanna la Turchia ma ancora una volta il Medio Oriente insegna che la guerra si vince con gli eserciti sul terreno. Solo i siriani e i loro alleati possono fermare la Turchia e la fratellanza musulmana. L’Occidente è comunque sconfitto e per l’Europa della Merkel e dei Macron si tratta di una debacle storica. Gli americani, dal Vietnam in poi, si confermano inaffidabili alleati e nemmeno la difesa del loro impero tecnologico e industriale ha consentito loro di elaborate una strategia geopolitica.

La sottovalutazione della capacità della fratellanza musulmana, da sempre nemica dell’Occidente e dei suoi valori, è una costante in Europa e ciò consente a renderci deboli e impreparati di fronte alla costante penetrazione nella comunità islamica europea. Anche perché non si può invocare e sperare negli investimenti del fondo sovrano del Qatar e ignorare nel contempo l’attività della charitiy qatariota che opera in Europa in Francia, Italia, Germania, Svizzera, Gran Bretagna e Balcani. Particolarmente rilevanti gli investimenti in Italia: nel biennio 2013/2014 più di 50 milioni di euro in gran parte a favore della Ucoi che controlla quasi tutte le moschee italiane e che fu fondata da appartenenti alla fratellanza.
Ecco perché è evidente che chi combatte in Siria e in Libia combatte anche per noi europei. All’Europa resta solo la vergogna.