Il 14 gennaio 1925 nacque a Tokyo Kimitake Hiraoka, il vero nome di Yukio Mishima , pseudonimo che adottò per la prima volta con la pubblicazione del suo primo libro nel 1941. Mishima morirà suicida all’età di soli 45 anni, con l’antico rito del seppuku, il rito dei samurai che mettevano in atto per salvare l’onore, nonostante questa pratica del suicidio fosse stata abolita fin dall’anno 1889.
Il seppuku veniva eseguito con il taglio del ventre da sinistra verso destra e poi verso l’alto da una posizione tipica giapponese che si chiama seiza , cioè in ginocchio, con le punte dei piedi rivolte all’indietro al fine di impedire che il corpo cadesse all’indietro. Cadere all’indietro veniva considerato un disonore secondo il codice morale dei samurai.
Yukio Mishima fu certamente un personaggio controverso ma sicuramente dotato di grandi capacità intellettuali e culturali come la critica internazionale ha sempre, in modo unanime, riconosciuto, pur con qualche distinguo. Il 25 agosto 2019 uscì un articolo su Il Manifesto, a cura di un cronista letterario, su Yukio Mishima , che mi lasciò quanto meno perplesso. Una serie di inesattezze che a rileggerle oggi, grazie anche al supporto di una maggiore conoscenza “della vita e della morte di Yukio Mishima ” e in particolare delle sue opere letterarie e teatrali, non esito a definirle sciocchezze e mi viene lecito domandarmi come fa un cronista letterario a scrivere tante sciocchezze concentrandole in un solo articolo. Nell’articolo si legge , per esempio, che “…. fu, dunque, dopo la clamorosa messa in scena del suicidio che Mishima divenne di colpo tutt’altro che un esile mito. Quell’evento indusse molti alla lettura o alla rilettura dei romanzi e il fascino- chiamiamolo pure così- dell’autore si allargò in dismisura”.
Yukio Mishima è considerato uno dei più grandi scrittori giapponesi del ‘900. Yukio Mishima fu lo scrittore più tradotto e il più grande romanziere e drammaturgo giapponese di maggior successo. La rivista statunitense “Esquire”, nel 1970, lo citò come uno dei cento scrittori più influenti al mondo definendolo come “l’Hemingway giapponese”. In 22 anni di attività di scrittore aveva portato a compimento quaranta romanzi, decine di saggi, venti volumi di racconti brevi. Inoltre aveva composto diciotto importanti drammi, tutti andati in scena e altri drammi minori. Yukio Mishima fu candidato, per ben tre volte, al premio Nobel per la letteratura, l’ultima delle quali nel 1968. Scrivere che “…solo dopo la sua clamorosa messa in scena …” fu scoperto come scrittore non solo è una grande fandonia, ma è un’offesa alla cultura e alla letteratura giapponese ancor prima che al grande scrittore e saggista Yukio Mishima .
Nel 1954 Yukio Mishima ricevette, a soli 29 anni, il premio letterario Shinchosha e successivamente il premio Mainichi Art Prize, nel 1956 ricevette il premio Yomiuti. Il 17 novembre 1970 Yukio Mishima, praticamente alla vigilia della sua morte, ottenne il premio Tanizaki ed il premio Yoshino. Nel 1968 il premio Nobel fu assegnato al suo amico e mentore Kawabata Yasunari che descrisse Mishima “come un talento che compare solo una volta ogni duecento – trecento anni non solo in Giappone ma nel mondo”. Yasunari dopo diciotto mesi dalla scomparsa di Mishima, si suicidò asfissiandosi con il gas di casa. Alcuni critici sostengono che il premio Nobel per la letteratura non fu mai assegnato a Yukio Mishima a causa della sua giovane età. Altri sostengono che il premio Nobel per la letteratura non venne mai assegnato a Yukio Mishima a causa delle sue idee conservatrici e di conseguenza era considerato uno scrittore scomodo alle élite internazionali. O, se si preferisce, veniva considerato da quelle stesse élite “ un cattivo esempio che, attraverso il successo, potesse dare ai lettori”. L’articolo prosegue con una descrizione del motivo per il quale Mishima e Morita si sarebbero suicidati che non corrisponde al vero “ …….. la mattina del 25 novembre (1970 ) a Tokio, quando – dopo aver arringato un migliaio di militari …., si tolse la vita facendo Harakiri insieme al suo camerata e amante Morita”. Nel modo in cui viene riportata la notizia del suicidio, si lascia forse intendere, in maniera velata, che il seppuko dei due camerati e amanti fu un gesto compiuto per motivi “sentimentali”mentre il rito fu eseguito esclusivamente per motivi d’onore.
Un breve inciso forse aiuta a comprendere meglio la cultura dei giapponesi nel voler preservare l’onore. Anche le donne in Giappone praticavano l’antico rito del suicidio con lo Jigai, ovvero l’equivalente del seppuku. Lo Jigai consisteva nel taglio dell’arteria carotide e della vena giugulare con un coltello di una lama di 15-30 centimetri. Lo Jugai, a differenza del seppuku , avveniva senza alcuna assistenza. L’antico rito del Jigai veniva eseguito dalle donne, quasi sempre, per preservare l’onore. Msakatsu Morita non si suicidò insieme a Yukio Mishima. Morita, prescelto come Kaishakuni, sbagliò per ben tre volte nel compiere il Kaishaku, che consistette nell’atto di assistere tagliandogli la testa dopo che questi aveva eseguito l’antico rito del seppuku. Il taglio della testa fu, un attimo dopo, eseguito dal vecchio Koga. Il taglio della testa viene eseguito, come noto, per evitare che l’artefice del seppuko non continui a soffrire in maniera esasperata poiché gli organi vitali, nonostante, appunto, il rito del seppuko, continuano a mantenersi intatti. Qualcuno ritiene che il taglio della testa veniva eseguito per evitare che il dolore non sfigurasse il volto. Per un giapponese , qualunque siano le cause che lo hanno indotto al suicidio con l’antico rito del Seppuku , è la morte più onorevole che un uomo possa trovare. La vita di Mishima è stata, fin dalla sua giovinezza, accompagnata dall’idea della morte attraverso il rituale del Seppuku come forma suprema nel servire la patria. Morita, dopo aver commesso l’errore nell’atto del Kaishaku per evitare di continuare a vivere nel disonore compì il seppuku e fu lo stesso amico,il vecchio Koga a tagliargli la testa.
Nel 1970 in Giappone erano ancora tanti coloro che rigettavano la occidentalizzazione, la modernizzazione “americanomorfa” come l’ha definito su Il Pensiero Storico Niccolò Mochi – Poltri. Tra questi, appunto, Yukio Mishima e gli appartenenti al suo piccolo esercito senza armi, sorto ufficialmente il 5 ottobre 1968, denominato in lingua giapponese Tate-no-Kai, cioè “L’associazione degli Scudi”.