Interpretare in modo soggettivo un argomento ricorrente quale la decrescita felice , è indice di superficialità e un obbiettivo cui puntare, basandosi soltanto sulle proprie convinzioni pronte per essere servite. Nella società del possesso e delle super offerte mordi e fuggi, spalleggiarsi a vicenda è un ottimo viatico. Più in particolare in questo periodo, ai margini della trilogia (Destra,Sinistra,Centro) della politica italiana ed europea, servirsi a più riprese di una teoria economica, rimodellandola e riproponendola con logiche e abitudini desuete fuori da ogni contesto attuale, ha tutto l’aspetto di una consuetudine. Contrariamente alla versione originaria, successivamente volgarizzata in slogan e nonostante sia ampiamente dibattuta a più riprese dall’antropologo dell’economia e sociologo francese Serge Latouche, possiamo constatare quanto sia parecchio strumentalizzata e in realtà poco approfondita.
Bisogna cambiare le regole del gioco, oppure, semplicisticamente e, nel peggiore dei casi, affidarsi alle superstizioni e agli scongiuri della crescita? Le probabilità di essere smentiti quando si decide di intraprendere una via al cambiamento che nessuno ha intenzione di percorrere, sono notevoli. A conferma del grigiore abitudinario di alcuni soggetti e della loro subordinazione ideologica, rileggere il Breve Trattato della Decrescita Serena edito da Bollati Boringhieri nel 2008 e Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione dell’immaginario economico alla costruzione di una società alternativa, (sempre di Bollati Boringhieri, anno 2005), adottando una metodicità denunciatrice dei mali e di chi sostiene il sistema capitalistico, non basta. I partiti di massa e le loro appendici-serbatoi, in alcuni casi espressione di un’Opera Omnia passatista che va a braccetto, spesso e volentieri, con l’autarchia rappresentata proprio da quei poteri odiati, così come i movimenti progressisti, interpretano bene la parte di partiti-macchina cui si appoggia istituzionalmente il globalismo. Utilizzando al meglio gli strumenti e i paradigmi che il capitalismo mondiale gli offre su un piatto d’argento ?
Possiamo dire che la deterritorializzazione, in più casi, è presente anche nei contenuti politici. Là dove il piano totemico della crescita e dello sviluppo è imprescindibile da ogni azione compiuta per risalire la china e, nel momento in cui, una formula entra a forza nel linguaggio comune:“ risanamento della legge elettorale mescolato in abbondanza a lavoro e crescita”, in realtà è da interpretare come una agevolazione rivolta interamente ad un programma di accrescimento dell’economia intangibile e dei suoi riti, desideroso di mettere un cappello introduttivo alle “derive” populiste; anteponendo una certa solerzia (distorta) istituzionalmente corretta della vita economica, che è poi l’esatto opposto. Sappiamo ora che le scelte politiche dei governi del Sud Europa ,e, che se ne dica, in alcuni casi anche del Nord, sono indirizzate alla lettura di una guida tutta particolare dell’avviamento e dello svolgimento “corretto” della propria professione, per accrescere un affare e una sistematicità fruttuosa che va a discapito delle comunità, del lavoro, dell’impresa e della salvaguardia delle culture e dell’ambientale? Certo non stupisce. Piuttosto, da quanto emerge da alcune attente riconsiderazioni sui valori borghesi del secolo scorso, ampiamente analizzati nelle opere di Serge Latouche ed espressioni della megalomania personalistica, dell’egoismo e del rifiuto della morale, sarebbe utile ravvisarne, perlomeno, il mancato decadimento e quel dinamismo che ne denota una rinnovata vitalità.
Dopotutto, pur essendo a bordo del «bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta» che come abbiamo visto, conosce bene l’arte di arrangiarsi, superando ogni limite spazio-tempo, inversamente all’uso improprio della decrescita felice quale toccasana contro i mali che limitano le idee, è possibile solidificarne una logica che parta dal basso. Permettendo di superare i valichi concettuali della fenomenologia dell’edonismo liberale e, a posteriori, ogni giudizio sempre più approssimativo sul da farsi dell’opera correntizia del conservatorismo che segue le regole ? Intraprendere un cammino che isoli i movimenti ad elastico delle merci e dei capitali, delimitandone l’uso solo all’indispensabile, è possibile. Nonostante l’entusiasmo manifestato da Sergio Marchionne e Luca Montezemolo dopo aver letto i dati del mese di febbraio 2014, ben contenti di verificare quanto sia stata proficua la vocazione multinazionale del comparto automobilistico “italiano” e il seguente incremento delle vendite che ha raggiunto il+8,6% e le 118.328 immatricolazioni, la cultura e la politica non possono esimersi dalle certezza relative all’andamento in discesa della vita degli italiani. La decrescita, può far riemergere quella forma mentis a lungo sedata e legata alle dimensione valoriale dei territori? Purché si scendano i gradini dell’autosuggestione e il senso di rivalità che sfocia in una competizione puramente intellettuale. Come ricordava Ernst Jünger, destandoci da alcune delle meraviglie delle macchine e riportandoci ai loro albori: “il cinema, la radio, il mondo della macchina nel suo complesso, deve forse servire a una migliore conoscenza di noi stessi, alla consapevolezza di quello che «non» siamo”. Oppure, di quello che siamo diventati ?