Montanelli, fiorentino, lo soprannominò prima il “Rieccolo”, poi il “Misirizzii”, per la sua capacità di ricomparire quando sembrava essere finito dietro le quinte; tra toscani lo sfottò era accettato e Fanfani da buon aretino non se ne adombrò mai. Forattini lo disegnava come un tappo di spumante, alludendo alla sua non alta statura ed allora non esisteva lo body shaming. Ma al di là degli aspetti caricaturali, Fanfani fu sicuramente un protagonista della politica italiana durante il fascismo e nel dopoguerra; fu una delle menti più lucide della Democrazia Cristiana e uno dei pochi con una visione strategica.
Fanfani fu tra i primi a intravedere la crisi del comunismo quando l’Occidente venne a conoscenza del famoso rapporto segreto di Krusciov, segretario del PCUS, al XX congresso del partito, tenuto nel febbraio del 1956.La relazione di Krusciov denunciava il culto della personalità e le sue conseguenze, che poi erano i crimini di Stalin. Il rapporto che avrebbe dovuto restare circoscritto alle quattro mura del palazzo del congresso fu invece divulgato in tutto il mondo, grazie ad un funzionario infedele dell’ambasciata polacca che lo trasmise ad un collega israeliano che poi lo fece recapitare a Washington.
Fanfani in una corposa relazione tenuta nella sua città dichiarava che “Stalin non è semplicemente il fallimento riconosciuto del capo comunista, dell’uomo nel quale i discepoli vedevano l’incarnazione del socialismo mondiale. Vi è qualcosa di più. C’è il fallimento di un regime politico e di un sistema di pensiero che porta a quei crimini, a quegli orrori.”
Fanfani fu deputato o senatore in tutte le legislature repubblicane, fino alla carica di senatore a vita nel 1972: segretario della Democrazia Cristiana negli anni 50 e 70, sei volte presidente del consiglio, ministro degli Interni, degli Esteri, del Lavoro, dell’Agricoltura e del Bilancio, per 14 anni presidente del Senato; dal 1° gennaio 1965 al 31 dicembre dello stesso anno, unico italiano a ricoprire la carica di presidente dell’Assemblea generale dell’ONU.
Alla Convention democratica del 1956 l’allora senatore John F. Kennedy segnalò alla platea Fanfani, presente in aula, attestando pubblicamente l’influenza dell’opera dello statista italiano come una ragione della sua politica discesa in campo. Il suo saggio dal titolo “Cattolicesimo e Protestantesimo nella formazione storica del capitalismo” lo fece conoscere al mondo dei cattolici statunitensi.
Fanfani fu anche l’autore del primo articolo della Costituzione; le sinistre (socialisti, comunisti, azionisti e repubblicani ) avevano proposto che recitasse che l’Italia fosse una “Repubblica democratica di lavoratori “. Persero per 227 contro 232.
La mediazione vincente fu di Amintore Fanfani :” Repubblica democratica fondata sul lavoro”. “Sostenere oggi che il lavoro non sia un diritto, come hanno fatto rugose meteore tecniche di un cupo firmamento disegnato da un quiet coup d’etat, appare quindi un azzardo spericolato. Costituzione (con Fanfani) docet ”. La citazione è dell’autore, Gianfranco Peroncini, il quale, forse per galanteria, non cita la Fornero.
Quando Fanfani nel 1949 fu ministro del Lavoro varò il piano INA-Casa che portò alla creazione di ventimila cantieri sparsi in un migliaio di Comuni in tutta Italia, offrendo un posto di lavoro a 41000 lavoratori edili, edificando nei quattordici anni di attività, fino al 1962, due milioni di vani per 354.751 famiglie, proseguendo sulla traccia del dinamismo operativo e sociale delle grandi opere del regime precedente, che aveva plasmato l’immaginario culturale ed operativo della giovinezza di Fanfani.
Infatti Fanfani, quando era ancora un giovane professore, identificò nella dottrina socio-economica fascista del corporativismo il trait d’union tra regime e Cattolicesimo. Dedicò a ciò uno studio intitolato “Il significato del corporativismo. Testo ad uso dei licei e degli istituti magistrali.” In tale testo sviluppò i temi dell’enciclica sociale “ Quadragesimo anno “, in piena sintonia con le politiche di quel periodo. Fanfani scorse nel corporativismo del fascismo trionfante, quello “degli anni del consenso”, il punto di mediazione ed equilibrio per una via d’uscita dal liberismo che non cadesse nella trappola del collettivismo.
“Rintracciando queste prospettive qualcuno si è addirittura chiesto se Fanfani fosse in realtà un cattolico fascista o piuttosto un fascista cattolico.Resta il fatto che l’esperienza di Fanfani lancia un ponte di continuità tra il corporativismo del ventennio ed il corporativismo del dopoguerra; più ampiamente, mostra come le genealogie della democrazia si snodino spesso inseparabili da quelle dell’anti democrazia. Vale anche per i momenti democratici più alti della storia del nostro Paese, quali senza dubbio sono la Costituzione repubblicana e l’economia mista del dopoguerra.”
Leggendo il libro di Peroncini, oltre ad approfondire meglio queste tematiche, si entra nella storia moderna del nostro Paese, spesso carente, poco argomentata e scontata nelle conclusioni da pensiero unico. Una occasione importante per aprire la mente a nuove prospettive.
Gianfranco Peroncini, Il pane quotidiano- Fanfani ed il sovranismo cattolico- La sfida del terzo millennio, Editore La Vela. Euro 22