Il nuovo film di Matteo Rovere è, riportato ai parametri del cinema italiano, un cinecomics per costi e resa visiva che denota un impianto progettuale alla base dell’opera. “Il primo re” è stato giustificatamente criticato per la scarsa aderenza storica alle credenze religiose del periodo ed una messa in scena da età del bronzo, però un film non è una lezione di storia ma qualcosa di simile al racconto di un mito. Alla base della sceneggiatura non sembra esserci la voglia di raccontare la nascita di Roma, bensì il principio alla base dell’Impero e, di conseguenza, della civiltà. Non a caso la prima scena vede i due fratelli travolti dall’esondazione del Tevere e l’ambientazione è volutamente primitiva ed ogni elemento architetturale è volutamente spoglio; la popolazione dell’epoca è rappresentata come in lotta con la natura ed in competizione con i vicini per la caccia. In questo contesto Romolo e Remo, durante lo svolgimento della trama, diventano la rappresentazione di due concezioni contrapposte del potere.

Remo, dovendo proteggere il fratello gravemente ferito, viene sottoposto a combattimenti e prove di forza che lo elevano al rango di eroe mitologico e su questa base edifica un ruolo per i suoi uomini, salvati da un destino di schiavitù, che è quello di sudditi. Convintosì di non aver limiti per la propria forza ed avendo una concezione della vita basata sulla condizione di assoluta solitudine dell’uomo e, di conseguenza, sulla lotta come principale interazione sociale, pone la paura alla base del potere. Il legame con i suoi sudditi è una sorta di patto dei lupi che ha lo scopo di garantire la superiorità sulle altre popolazioni e la primazia sull’accesso ai beni.
Romolo, di converso, si ritrova trasportato da eventi al di fuori del suo controllo ma protetto dal fuoco sacro che prende agli abitanti di Alba in modo che i due fratelli assieme ai loro compagni di viaggio non fossero più soli. Nella visione del fondatore di Roma, il segno tangibile della presenza della divinità sottrae l’uomo dalla sua condizione di solitudine per conferirgli un ruolo (ri)ordinatore del suo habitat, e dare un fondamento all’idea di società avendo la giustizia come base del potere. Il legame con i suoi cittadini è basato sull’autorità che gli deriva dal poter riaccendere il fuoco sacro, spento dal fratello come gesto di sfida agli Dei e di superiorità, legittimando il suo ruolo di Pontifex.
Lo scontro fra i due fratelli si configura, in definitiva, come lo scontro tra due concezioni dell’esistenza e, conseguentemente, dei rapporti dell’uomo con la divinità e la società e, pertanto, tenta un’operazione molto simile a quella tentata e.g., da Zack Snyder portando sullo schermo il “300” di Frank Miller. Gli errori storici sono un mezzo per sottolineare gli elementi filosofici alla base della trama i.e., la civitas ordinatrice, concepita come conseguenza del patto tra uomo e divinità, contrapposta allo stato di natura, che è lotta per la sopravvivenza, e la pietas come base dei rapporti sociali e.g., il rogo finale di Remo non è segno di vittoria ma ricordo del sacrificio.