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Il racconto/ Tormenti e dubbi di un pianista politicamente corretto e molto inginocchiato

di Eugenio Pasquinucci
4 Luglio 2021
in Home, Società&Tendenze
0
Il racconto/ Tormenti e dubbi di un pianista politicamente corretto e molto inginocchiato
       

Ho sempre apprezzato le battaglie dell’onorevole Letta per i diritti civili, in particolare mi è piaciuto il suo impegno nel richiedere che i nostri calciatori si inginocchiassero prima di ogni incontro agli Europei di calcio. Mi piacerebbe tanto che il leader del PD perorasse una causa che sembra piccola ma che mi appare di grande significato. Io sono un pianista e suono in un’importante orchestra internazionale. Ogni volta, ma proprio ogni volta che mi accingo a suonare non posso non notare che i tasti del pianoforte sono in maggioranza bianchi, per la precisione 52, e di maggiori dimensioni e solo 36 neri e più piccoli. Perché questa discriminazione? Perché privilegiare i bianchi? Perché sono i neri a dover soccombere? Perché non fare il contrario? 
Penso a tutti i pianisti afroamericani ed al loro cruccio di fronte alla tastiera. Penso al sollievo che è stato dato a Stevie Wonder ed a Ray Charles di non dover vedere simile affronto. Mi auguro che l’onorevole Letta faccia qualcosa, che riscatti il mondo della musica da simili discriminazioni.
Mi aveva anche colpito la proposta, di grande sensibilità, di un altro esponente del PD, l’onorevole Livia Turco, che aveva proposto le quote “nere” nelle istituzioni, in modo che anche gli africani abbiano la possibilità di essere rappresentati.
Ho parlato di questa proposta all’orchestra di cui faccio parte, durante una pausa delle prove del nostro prossimo concerto e si è sviluppato un dibattito che mi ha molto sconcertato.
Quando ho accennato alle quote nere, subito la mia fidanzata Li, primo violino di origini cinesi, è insorta :” E perché non le quote gialle ? Chi siamo noi per avere meno diritti? Proprio noi che spesso raggiungiamo l’eccellenza in ogni campo? Perché le istituzioni dovrebbero ignorarci?”. A Li si è aggiunta Seiko, la violoncellista giapponese: ” Forse che noi cosiddetti gialli, che poi siamo orientali, siamo assimilabili ai bianchi? Per questo non abbiamo quote? Come se noi non avessimo una nostra cultura, nostre sensibilità, una nostra storia? Forse perché la nostra pelle è così chiara?”
A questo punto si è inserito nel nostro piccolo dibattito Rajiv, il flautista, originario di Calcutta, che ci ha detto:” E io che sono un “coloured”, scuro dicarnagione, apparterrò alle quote nere ? O per i tratti somatici sono inquadrabile come bianco?”
Chayton, di antiche origini Sioux, il nostro percussionista, ha aggiunto :” Le quote nere mi ricordano le riserve in cui ci confinarono i bianchi che depredarono le nostre terre, un modo ipocrita per tutelarci.”
Rajiv ha ripreso a parlare:” Mio nonno viveva in Sud Africa: i bianchi, che avevano conquistato l’estremo lembo del continente, per difendersi dall’invasione dei neri ottentotti da nord, inventarono l’apartheid per continuare a governare inminoranza. A Durban, dove viveva mio nonno, sulle coste orientali dell’Oceano Indiano, c’erano le township , quartieri popolosi ai confini della città, divise tra neri, coloured e indiani. Ognuno viveva nella sua baraccopoli. Ognuno aveva la sua “quota ” di città. E’ a questo che si vuole arrivare? Perché la “quota” è concessione, non conquista, è discriminazione, non integrazione.”
Ha concluso Sergej, il nostro direttore d’orchestra :” Anche nella mia città c’erano i quartieri che il partito controllava, ed assegnava ad ognuno una casa a seconda della fedeltà al comunismo sovietico. Quel tempo fortunatamente è passato. Oggi siamo qui a suonare insieme, ognuno con la sua storia, nessuno vi è arrivato perché appartiene ad una quota ma per le sue capacità e sensibilità. Per merito quindi. Ragazzi, riprendiamo a suonare.”
A quel punto la disputa sulla tastiera mi è apparsa per quella che era, un qualcosa senza senso.

Tags: razzismo
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