Finalmente in carcere. Finalmente hanno un nome e un volto le ombre che quella sera di febbraio si portarono via la vita di Enzo Fragalà. La brillante conclusione delle indagini dei Carabinieri rende meno opprimente il senso di impotenza che ci colpì tutti quando si sparse la notizia della belluina aggressione. Oggi, alle immagini devastanti dell’agguato, alle descrizioni truculente delle modalità con cui fu commesso l’omicidio, si sovrappone finalmente nella nostra memoria il ricordo di un periodo e di un episodio di spensierata allegria.
Era l’anno 2004, con Enzo eravamo insieme componenti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la giornalista Rai e il suo operatore uccisi in circostanze misteriose in Somalia. Con il consenso del collega più anziano e dell’altro membro di Alleanza nazionale in Commissione, Ugo Lisi, fui eletto capogruppo di An nell’organismo inquirente. Durante le indagini ci capitò anche di dovere fare un viaggio alquanto periglioso in Yemen. Lì, a San’à per l’esattezza, all’interno dell’ambasciata italiana dovevamo interrogare un importante testimone, un armatore somalo di Bosaso, che per motivi di sicurezza pretese di incontrarci in territorio neutro. La Camera preparò con cura la missione, partimmo da Ciampino su un volo militare con i colleghi Carlo Taormina (allora presidente della Commissione), Giulio Schmit, Rosy Bindi e Roberta Pinotti del Pd. Scortati dai nostri Servizi, in Yemen eravamo vigilati anche da burberi soldati con tanto di Kalashnikov. Enzo, oltre alla missione che avevamo, ricordo come fosse oggi, aveva un pensiero fisso, costante, martellante. Trovare dei finimenti per il suo cavallo! Già, perché tra i tanti hobby dell’avvocato Fragalà, c’era l’equitazione. E i cavalli arabi, si sa, sono pregiatissimi. Quale miglior posto quindi se non l’ex regno della Regina di Saba, l’Arabia Felix dei Romani per trovare selle, briglie et similia? Nei momenti liberi dei nostri due giorni di permanenza ci abbiamo provato a comprare i tanto agognati articoli sportivi, ma senza successo.
In quelle ore con Enzo ci punzecchiavamo scherzosamente spesso. Io preso dall’emozione dell’esploratore che ammirava tra i vicoli polverosi e scalcinati della città yemenita le tracce dell’antica civiltà araba ed Enzo che con la sua proverbiale ironia smitizzava tutto. “Ma cosa ci trovi di bello – mi replicava tra un minareto e un mercante di spezie – ma Palermo non è meglio?! Pensa alla Zisa e alla Cuba, valgono mille volte di più!”. I nostri dibattiti coinvolgevano i colleghi degli altri partiti che assistevano divertiti alle dispute dei due “Palermitani”.
Il culmine si raggiunse in un episodio immortalato nella fotografia. Mattinata libera in giro per il bazar (scortatissimi ovviamente). Io indosso jeans e polo Lacoste. Enzo si presenta con un completo coloniale kaki, con pantaloni con tasconi, sahariana e képi non inquadrato. Impertinente colgo l’occasione per un affondo proditorio e attacco:”Complimenti Enzo, ti sei arruolato nella Legione straniera?”. Pronta e altrettanto caustica la replica: “Ma come fai a parlare tu, sei vestito come se stessi andando con gli amici al Baretto a Mondello”. È giù risate. Oggi, dopo tre anni e la notizia che la Giustizia ha colpito, è questo il pensiero che voglio dedicare ad una persona che è vivo nel ricordo dei cari e di chi lo ha conosciuto molto di più di quanto lo sia il suo bestiale carnefice.