Parata di nomi noti, alla Sala Koch di Palazzo Madama, nel tardo pomeriggio di giovedì 4 maggio. L’occasione è stata un convegno organizzato dalla Fondazione Craxi e da Italia Protagonista, “Craxi: oltre la destra e la sinistra?”. Hanno partecipato il presidente e la fondatrice della Fondazione Craxi, rispettivamente: Margherita Boniver e Stefania Craxi; Renato Manzini, Aldo Cazzullo, Piero Fassino e l’ideatore dell’evento, Maurizio Gasparri. Tra il pubblico, Lamberto Dini e Nazzareno Mollicone.
Presentando l’evento, Margherita Boniver ha passato in rassegna alcuni tratti della politica estera craxiana: dal rifiuto opposto agli Stati Uniti di far partire dalla penisola i bombardamenti contro la Libia di Gheddafi, a Sigonella; dall’europeismo alla contrarietà riguardo le pretese thatcheriane sulle isole Falkland – che Craxi preferiva chiamare Malvinas; dopo aver ricordato l’imminenza del cinquantesimo anniversario del golpe in Cile (una delle tragedie che più stavano a cuore a Craxi), la Boniver ha rilevato la “necessità di rivedere la cronaca violenta che ha spazzato via il PSI e la Prima Repubblica”.
Renato Manzini, dopo aver specificato che nel 1983 – al principio dell’esperienza governativa craxiana – i concetti di destra e sinistra erano assai diversi rispetto a quelli dell’immediato dopoguerra (il momento nel quale si era formato l’assetto della Prima Repubblica, e con esso l’arco costituzionale), ha notato quali erano gli aspetti del “socialismo libertario” craxiano che gli attirarono l’attenzione della destra missina e l’ostilità della sinistra comunista: ispirato da Proudhon e Nenni, Craxi preferiva la mutualità al controllo statale (di matrice marxista) sulla produzione; propose (da sinistra) una nuova visione della “nazione”, intesa come l’insieme di interessi e necessità della popolazione (concetti ribaditi, in Francia, da Mitterand e Delhors). Inevitabile il racconto di quando, nel luglio del 1983, incaricato dal Presidente della Repubblica, e compagno di partito, Sandro Pertini, di formare il nuovo esecutivo, Craxi convocò per le consultazioni anche – fatto del tutto inedito – Giorgio Almirante, in quanto segretario del Movimento Sociale Italiano, il solo partito escluso dall’arco costituzionale; allo stupore di Almirante (che, pur declinando l’offerta del segretario socialista, disse al resto della delegazione d’aver incontrato “un grande uomo, un autentico leader”), che notava appunto essere il suo partito escluso da tale novero, Craxi rispose: l’arco costituzionale è roba alla De Mita. Due i momenti citati da Manzini a testimonianza dell’avvicinamento (mancato) fra Craxi e il MSI: il “socialismo tricolore” al centro d’un celebre libro di Giano Accame, lo studioso poi direttore del Secolo d’Italia; e la mostra, organizzata la Colosseo dall’IPSOA, sulla “Economia italiana fra le due guerre”. Manzini ha poi parlato degli interventi craxiani volti a salvaguardare l’autorità italiana, che gli sono valsi l’ammirazione d’una parte della destra italiana: dal tentativo di ridurre l’inflazione, alla “lira pesante”; dallo scontro con Prodi (che provò a vendere a privati la SME, l’industria alimentare pubblica) alle pressioni su Reagan per far ammettere l’Italia nel G7. Torna, nella cronaca internazionale di oggi, evidente la carica profetica di Craxi: dagli allarmi su quella che è diventata la sciagura delle migrazioni di massa, al dialogo col mondo arabo (la Libia di Gheddafi, la Tunisia, Arafat e l’OLP: sempre in nome della solidarietà craxiana verso i popoli oppressi). Il socialismo italiano a guida craxiana è stata, secondo Manzini, un’epoca di riconciliazione oltre che di tutela del ruolo italiano sul piano internazionale.
Dopo aver salutato il senatore Andrea Augello, recentissimamente scomparso, e vantato il successo della propria intervista del mese scorso, sul Corriere della Sera, a Stefania Craxi, Aldo Cazzullo ha riportato l’esperienza delle interviste telefoniche al Craxi ormai esule (e che, curiosissimo riguardo la situazione italiana, faceva più domande dell’intervistatore stesso), oltre al ricordo di Stefania Craxi che accoglie i giornalisti “in veste di principessa berbera, incazzatissima”. Riguardo l’ormai celebre episodio dei missini convocati da Craxi presidente designato, Cazzullo ha riportato che allo stupore di Almirante – “ma noi siamo fuori dell’arco costituzionale” – Craxi rispose: “l’arco costituzionale è roba alla De Mita”.
Piero Fassino – che, segretario dei Democratici di Sinistra, già nel 2007 provocò uno scandalo nella galassia postcomunista, citando Craxi fra i padri nobili della sinistra italiana – ha ricordato quando fu tra gli incaricati di portare (col benestare di Craxi) il PDS (in crisi profonda dopo la Bolognina) nell’Internazionale Socialista: e che furono lui stesso, Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano a mantenere un dialogo con Craxi. Il quale, rispondendo al titolo dell’incontro, non può essere collocato a destra: secondo Fassino, Craxi è stato un fiero leader della sinistra riformista, la stessa di una tradizione autonomista cominciata a Genova nel 1892 e proseguita con Nenni; nella sua politica sociale, ma soprattutto in quella estera si nota quanto chiaramente Craxi fosse di sinistra – dal suo atteggiamento riguardo la questione mediorientale, al suo essere atlantista (ma rifiutando che l’Italia fosse relegata in un ruolo subalterno); Fassino ha poi rimarcato che proprio un politico vicino a Craxi, Gianni De Michelis, da ministro degli esteri ha contribuito al passaggio dell’Europa dal Muro di Berlino all’Unione Europea. Fassino ha quindi rilevato il noto paradosso italiano per cui negli anni ’70, nonostante la somma dei partiti di sinistra fosse la maggioranza, al governo andava la Democrazia Cristiana: in questo contesto si sono poi manifestati il “titanismo” e la competitività di Craxi, che ha contestato al PCI l’egemonia a sinistra, e alla DC quella governativa (tenendo per lo più aperto questo doppio fronte in contemporanea), nonché la sua grande ambizione di modernizzare l’Italia (a testimonianza di ciò, resta il congresso del PSI a Rimini nel 1987: massima elaborazione teorica del riformismo, sia economico che istituzionale). Le riforme ci sono poi state, ma soltanto dal 1992-’93, e incompiute: Fassino ha citato il referendum sulla preferenza unica, che ha lasciato un assetto istituzionale parziale, il quale a sua volta non ha realizzato le riforme proposte da Craxi – del quale Fassino ha quindi elogiato la personalità forte, definendolo un leader, uno statista dalla visione lunga, ricco di ideali che ha cercato di mettere in pratica.
È stato quindi il turno di Maurizio Gasparri, ideatore e promotore dell’evento. Gasparri concorda con l’impossibilità di collocare Craxi a destra; eppure ci sono, fa notare, dei paradossi – Gasparri ricorda lo scontro sulla scala mobile: Craxi, con una scelta “di destra”, ne propugnava l’abolizione, mentre Almirante e il MSI, contrari a ciò, si trovarono così d’accordo col PCI. Ha quindi ripensato a quando il MSI votava, di nascosto, i candidati democristiani al Quirinale: nonostante la stessa DC si ostinasse a tenere il loro partito fuori dall’arco costituzionale, e a rifiutare con loro qualsiasi dialogo. Gasparri ha poi parlato di alcuni punti in contatto fra Craxi e il MSI: dall’aver offerto ascolto al partito della Fiamma, al progetto della “Grande Riforma”; dall’aver parlato apertamente di “patria” (in un’Italia diffidente verso il concetto di patriottismo – qui Gasparri ha citato, con perplessità, la scelta del comune di Bologna di togliere la dicitura “patriota” dai cartelli delle vie) alle politiche del lavoro: Craxi ha, secondo Gasparri, “abbattuto vari muri di Berlino, ancor prima che alla Bolognina si accorgessero che quello vero era caduto”; e la sua epopea politica resta testimonianza di una politica, e di un fare politica, di livello ben più alto di quello attuale. Gasparri ha poi citato l’amicizia tra Craxi e il fondatore di quello che sarebbe poi diventato il centrodestra italiano, Silvio Berlusconi; ha quindi riconosciuto (rispondendo a Stefania Craxi, che ha rimarcato che il padre è stato aggredito “dalla sinistra postcomunista e dalla destra missina e postfascista”) che la destra italiana ha spesso manifestato ostilità nei confronti del leader socialista, rievocando la catena umana dei ragazzi (vi era anche Giorgia Meloni) dell’ultimo MSI che si radunarono attorno a Montecitorio indossando magliette con la scritta “arrendetevi, siete circondati”, oltre all’insistenza con cui le reti televisive berlusconiane seguivano gli inquirenti di Tangentopoli: ma ha anche negato che, nell’incivile gazzarra di Largo Febo (proprio settimana scorsa ricorreva il trentennale dell’aggressione, istigata da un comizio del PDS in Piazza Navona, di alcuni manifestati ai danni di Bettino Craxi fuori dall’Hotel Raphael, sua residenza romana), vi fosse la partecipazione del MSI.
In conclusione, Stefania Craxi ha ribadito che Piero Fassino è stato il solo segretario di sinistra che abbia cercato una riconciliazione. Ha quindi detto che Craxi non ha lasciato eredi, ma un’eredità: la politica odierna ancora si confronta con le sue intuizioni (riforma istituzionale, crisi del Mediterraneo, urgenza d’una “giustizia giusta”). Craxi è stato un leader di sinistra, ma non un conservatore, filosovietico e antimoderno alla Berlinguer (Fassino ne ha poi smentito il filosovietismo, rammentandone anzi l’attentato subito in Bulgaria). Secondo Craxi, il marxismo-leninismo è incompatibile con la libertà: e proprio da questa sue affermazione è cominciata la persecuzione a opera del PCI (a partire dai dossier di Antonio Tatò); Craxi ha visto in anticipo le trasformazioni dell’Italia e degli italiani, mentre il PCI insisteva ad annunciare una “proletarizzazione del ceto medio” mai realizzatasi; Craxi ha puntato sull’inventiva e l’iniziativa degli italiani, e proprio questa visione ha portato alla “Milano da bere”, demonizzata dalla sinistra comunista, mentre era una via di sbocco dagli anni del terrorismo – la sinistra italiana ha insomma risposto inadeguatamente alla novità craxiana, anche sul piano valoriale. Craxi ha difeso il primato della politica, cercando di mantenere almeno in virtù di questo aspetto una “cuginanza” coi comunisti: si pensi che al Raphael fece incontrare Willy Brandt e Berlinguer, e che sul suo leggendario camper invitò Veltroni e D’Alema. Dopo aver letto un passo da “Il sonno della memoria” di Barbara Spinelli, per mettere in guardia dai tentativi d’usurpazione del socialismo liberale di Craxi da parte dei postcomunisti (“replicanti alla Blade Runner, programmati per vivere esistenze altrui”), la Craxi ha deprecato che, omaggiando la memoria di Giacomo Matteotti, Elly Schlein lo abbia recentemente collocato nello stesso “pantheon” di Gramsci e Togliatti, ferocemente ostili ai socialisti – a Matteotti come a Turati; la sola cultura di sinistra che abbia retto il confronto con la storia è, afferma Stefania Craxi, il socialismo riformista. Una cultura inequivocabilmente di sinistra, che però la sinistra (“la quale resta incapace di far pace con se stessa”) ancora rifiuta: e riprova ne è il fatto che i socialisti abbiano trovato una dimora in Forza Italia (“mi sono ancora candidata col centrodestra e sono stata ancora eletta, mio fratello si è candidato col centrosinistra ed è rimasto a casa”).
Incontro breve (un’ora e mezza); paradossalmente, proprio Fassino, che per un treno aveva fretta di concludere, si dilunga in una chiosa sul mancato dialogo tra le sinistre italiane. Conclude Stefania Craxi, rimarcando che sì: spostare Craxi a destra sarebbe una sciocchezza insostenibile; eppure, sono state sempre e solo le amministrazioni comunali di centrodestra, a onorare la memoria del primo Presidente del Consiglio socialista d’Italia. La sinistra italiana, dal canto suo, non riesce a fare pace né con la storia, né con sé stessa.