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Incontro con Alberto Guareschi/ Mio padre: un vero anticonformista, un sano ribelle

di Pierluigi Arcidiacono
5 Luglio 2018
in Home, Libri&LIBERI
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Incontro con Alberto Guareschi/ Mio padre: un vero anticonformista, un sano ribelle
       

 

 

 

Il 2018 è l’anno dei molti anniversari. Il più importante sarà il prossimo 4 novembre: centenario della grande vittoria dell’Esercito Italiano nella Prima Guerra Mondiale, contro l’Austria-Ungheria. Seppur lontani sono ricorsi anche i “Moti del 1848”: la prima agitazione europea fu in Sicilia (e iniziò il 12 gennaio). Nello sport ricorrono: la vittoria della Coppa d’Europa da parte della Nazionale Italiana di Calcio (purtroppo proprio nell’anno in cui gli Azzurri sono stati esclusi dal Campionato Mondiale); poi, il 110° anniversario della fondazione del F.C. Internazionale Milano (9 marzo 1908), che a quella Nazionale del 1968 (Capitanata da Giacinto Facchetti) diede “l’ossatura”. E ancora: “Il Sessantotto” e, per ironia della sorte, proprio nel 50° anniversario di questa rivoluzione culturale, i diciottenni dell’epoca compiranno proprio 68 anni… Non sono le sole ricorrenze.

A chi ama la lettura, agli appassionati di giornalismo, nonché di cinema italiano, interesserà, certo, la ricorrenza del 22 luglio 1968; la scomparsa di uno dei più importanti Autori del Novecento, tradotto in tutto il mondo (escluso il cinese); nonostante la “cultura ufficiale” italiana lo abbia scortesemente snobbato. Parliamo di Giovannino Guareschi, papà di Peppone e Don Camillo: l’uomo che “da solo” sconfisse i comunisti nelle elezioni del 1948 (un’altra ricorrenza…). Cominciamo da qui.

 

Si racconta che il suo papà, da solo, sconfisse il “Fronte Democratico Popolare” nelle elezioni del 1948 (la Democrazia Cristiana vinse e ottenne il 48%). Oggi – nell’era della comunicazione “esasperata” – sarebbe impossibile. Cosa accadde esattamente?

Mio padre, assieme ai colleghi del «Candido», affiancò validamente la Democrazia Cristiana nella campagna elettorale di quelle importantissime elezioni utilizzando tutti i mezzi a sua disposizione per evitare che il Fronte Democratico Popolare (sul «Candido» lo chiamava FRODE) vincesse le elezioni. La posta in gioco era enorme perché alle spalle del Fronte Democratico c’era la Russia che, in caso di vittoria, avrebbe potuto trasformare l’Italia in un Paese satellite: di fronte a noi, al di là dell’Adriatico, ci fronteggiava l’URSS con l’Albania e l’alleata Yugoslavia, con Tito che allora andava d’accordo con Stalin e voleva annettersi una grossa fetta del territorio italiano. Disegni e slogan di mio padre vennero utilizzati dai Comitati civici del professor Gedda voluti da Papa Pacelli per contrastare le cellule del Partito comunista e l’uscita del primo volume di Don Camillo venne accelerata al marzo 1948 in funzione elettorale.

 

Il simbolo del “Fronte Democratico Popolare” aveva al centro di una stella il volto di Giuseppe Garibaldi; la scelta del nome non contemplava la parola “comunista”, ma, anzi, “scimmiottava” il precedente nome della “Democrazia Cristiana”, cioè: “Partito Popolare Italiano”; questa abitudine dei “Progressisti” di mimetizzarsi, per un cattolico, e senza spaventare nessuno (siamo tra noi…), può essere considerata, in qualche modo, farina del sacco del Diavolo?

Diciamo pure che il Diavolo è sempre in servizio e “diabolicamente” abile.

 

Suo padre si considerava un uomo libero e questa sua concezione di vita gli costò il lager nazista (durante la Seconda Guerra Mondiale) e la prigione nella nuova Repubblica Italiana. Il suo essere libero, però, non gli impedì di assumere posizioni ben precise: cattolico, monarchico, anticomunista. Pur senza “dissacrare” la sua figura, che posizioni avrebbe assunto Giovannino Guareschi (fondatore del “Candido”) nell’Italia de “Il Sessantotto” e degli “Anni di Piombo”?

Mio padre è morto nel luglio 1968 e nei mesi precedenti alla sua scomparsa aveva commentato le prime agitazioni studentesche in alcune città italiane – sfociate nei primi mesi del 1968 in occupazioni delle università – in un articolo per la rubrica settimanale che teneva su «Oggi» e che non venne pubblicato: «Gli studenti, spinti sulla strada della violenza dal cinema, dalla Tv, dai fumetti, dalla letteratura impegnata, da professori incoscienti e da furbi agitatori politici, reagiscono secondo la loro diseducazione, incendiando automobili, devastando negozi e scuole, costruendo barricate e cercando di ammazzare con pietre, sbarre di ferro e bottiglie Molotov i tutori dell’ordine. Se gli studenti stanno comportandosi così come si comportano ora, significa che qualcosa di grosso è nell’aria: e solo per questo le loro agitazioni di piazza sono preoccupanti.»

 

Abbiamo detto che nel 1948 Guareschi contribuì a sconfiggere il “Fronte Democratico Popolare”. Non era un ingenuo e sapeva bene quale (e quanto) fosse reale il pericolo comunista. Uno degli uomini di spicco della vittoria democristiana era Alcide De Gasperi. La Chiesa Cattolica lo venera addirittura come “Servo di Dio” e si parla anche di beatificazione… Fu soprattutto lui (senza nemmeno un minimo di riconoscenza) ad accanirsi contro il suo papà. Glielo tolse per un anno…

Non vi fu accanimento da parte di De Gasperi contro mio padre: quando lo attaccò su «Candido» De Gasperi sporse querela e, velocissimamente (solo due mesi dopo la querela), mio padre fu processato e condannato con un processo sommario. L’accanimento vi fu invece da parte di tutto l’entourage della Democrazia Cristiana. D’altro canto lui non si aspettava nessuna riconoscenza perché, affiancandosi a lei nel 1948 nel corso della campagna elettorale, lo fece non certamente perché credesse in quel partito ma perché non c’era altro modo per poter difendere l’Italia dal rischio di divenire un paese satellite dell’URSS. Inoltre, sapeva benissimo che non esiste il sentimento della riconoscenza in politica. A proposito della causa di beatificazione io dubito che questa possa procedere perché il postulatore dovrà tener presente la dichiarazione fatta da De Gasperi nell’intervista concessa al «Corriere Lombardo» quando l’intervistatore gli annunciò che Guareschi sarebbe andato in carcere senza ricorrere in appello: «Sono stato anch’io in galera e può andarci anche Guareschi». E dopo una breve pausa aggiunse: «E le assicuro che le carceri dello Stato democratico sono meglio di quelle della dittatura». Sono parole dure, quasi sprezzanti, prive di quella Carità Cristiana da perseguire fino all’eroismo che deve essere esercitata per ottenere la “patente” di santo. Infatti, con quelle parole De Gasperi dimostrò il suo assoluto disinteresse sul fatto che quell’anno di carcere privava noi due figli, di 14 e 11 anni, della sua presenza paterna.

 

La sua madre come si comportò in quell’occasione? Fece resistenza alla scelta di suo padre?

Il detto latino Dotata animi mulier virum regit (Una donna provvista di coraggio sostiene il marito) descrive perfettamente mia madre, donna coraggiosa che ha permesso a mio padre di fare le sue scelte di vita senza scendere a compromessi e a noi figli di crescere senza complessi anche in quel frangente.

 

Scrive Michele Brambilla nel suo: “L’ESKIMO IN REDAZIONE – Quando le Brigate Rosse erano «sedicenti”» (Edizioni Ares – Milano – 1991): “Per capire quale fosse il clima di quel tempo”, Anni Settanta (1975), “il lettore consideri che bastava commemorare, nell’anniversario della morte, uno degli autori più amati dagli italiani (quel Guareschi creatore di Don Camillo e Peppone, eccezionali personaggi anticipatori del compromesso storico) per essere ritenuti non solo dei fascisti, ma addirittura dei complici morali dei bombaroli che sterminavano innocenti su treni.”. Si ricorda di quegli anni? Cosa ne pensa?

Sono amico di Michele Brambilla e ho letto il suo lucido “L’eskimo in redazione” di cui condivido in pieno il contenuto dissociandomi solo sulla qualifica data a Don Camillo e Peppone di anticipatori del compromesso storico: i due personaggi non sono mai scesi a compromessi ma hanno sempre cercato, come il loro autore, un punto d’incontro sul piano umano per il bene del prossimo. E son ben altra cosa dei catto-comunisti che il compromesso storico ha partorito.

 

Ma vivendo a Roncole Verdi (allora Roncole di Busseto), non avevate paura di qualche scorribanda da parte di una delle varie organizzazioni extraparlamentari di Sinistra atte alla violenza gratuita? 

Roncole, il paese scelto da mio padre come sua patria, fa parte del “Mondo piccolo” e come tale è composto da persone vere, abituate a pensare con la propria testa senza farsi guidare da alcun tipo di ideologia; persone che guardano all’uomo e alle sue qualità e rispettano le idee degli altri. Né mio padre né noi abbiamo mai ricevuto minacce o altro.

 

Una cosa che ci risulta, invece, è che Giorgio Pisanò, nel riprendere le pubblicazioni del “Candido”, desiderasse Giovannino Guareschi al suo fianco. Crede che il papà, tornato dalle vacanze a Cervia (dove trascorse i suoi ultimi giorni) avrebbe ripreso a “battagliare” (almeno come giornalista e disegnatore) alla Giovannino, seppure, in questo caso, un pochino più “schierato” a Destra?

Temo proprio di sì, ma la sua battaglia l’avrebbe condotta certamente anche contro lo stesso Giorgio Pisanò per evitare che il suo «Candido» andasse alla deriva trascinato da correnti faziose.

 

Due domande intime. La prima: di recente (ottobre 2015) è scomparsa sua sorella Carlotta, donna eccezionale che per chi l’ha conosciuta appariva esempio di serenità, tranquillità e bontà; ma da piccola era davvero la “Pasionaria” dei racconti del suo papà?

Carlotta era dotata di grande personalità e già da bambina affrontava le situazioni con grinta e determinazione, mitigate dal senso dell’umorismo ereditato da nostro padre. Per questa ragione gli aveva ispirato il personaggio della Pasionaria. Nella maturità, con i figli e i nipoti la grinta si era trasformata in dolce determinazione.

 

La seconda: quando morì il suo papà, nel 1968, ai funerali comparve Enzo Ferrari. Qual era il legame tra questi due grandi personaggi italiani conosciuti in tutto il mondo? Lei sapeva che Ferrari conoscesse il papà?

Enzo Ferrari ammirava mio padre e gli era grato perché la lettura dei suoi libri aveva confortato il figlio Dino malato. Una volta si incontrarono a Maranello (c’ero anch’io bambino) e fece fare un giro di prova su di una sua macchina a mio padre. Poi, vedendo che io sgolosavo la macchina, chiese a mio padre il permesso di farmi fare un giro con lui. «Sì», gli aveva risposto mio padre, aggiungendo: «ma cal vaga piàn»…

 

Suo padre amava il proprio lavoro. L’impegno profuso fu incredibile. Quanti libri pubblicò sino al 1968 e quanto materiale vi ha lasciato?

Mio padre ha curato la pubblicazione di dodici opere mentre mia sorella e io ne abbiamo curato oltre venti la cui maggioranza è composta da raccolte di racconti del filone del “Mondo piccolo” (con Peppone e don Camillo), del “Corrierino delle famiglie” (con la Pasionaria e Gio’) e della prigionia. Testi scritti dal 1936 fino al 1968, sino alla vigilia della sua morte. Mio padre avrebbe voluto pubblicare altri volumi ma dalla vicenda De Gasperi (1954) fino al 1963 è stato messo in castigo dall’editore che non gli ha più pubblicato sue opere.  La sua vena creativa non si è mai mai esaurita e negli ultimi anni di vita ha scritto la serie di racconti – usciti postumi col titolo Don Camillo e don Chichì e Vita con Gio’ – che anticipavano con lucidità l’attuale situazione di malessere in cui ci troviamo… Restano comunque da pubblicare i testi scritti per «il Borghese» dal 1963 al 1968 corredati da disegni e l’ultima antologia della serie Mondo Candido.

Tags: Alberto GuareschiAlcide De Gasperianni di piomboEnzo FerrariGiorgio PisanòGiovannino Guareschi
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