
Nell’asfittico e molto conformista panorama mediatico nostrano, Daniele Capezzone è una voce scomoda. Pungente e fastidiosa. Un’intelligenza libera e brillante. Firma di punta del quotidiano La Verità, fondatore del Centro Studi Mercatus, commentatore televisivo, saggista e “libero battitore”. Insomma, Daniele piace a Destra.it. Ovviamente non sempre siamo in perfetta sintonia, ma ritroviamo nelle sue tesi e nelle sue provocazioni molte delle nostre inquietudini, delle nostre arrabbiature. Ritroviamo nel suo discutere e nel suo polemizzare gran parte delle nostre ipotesi di lavoro sulle metropoli e sul ceto medio, sul centrodestra minimalista, sulla sinistra globalista. Sulle prospettive possibili. Sul presente e sul futuro. Gusti e disgusti. Da qui questa nostra intervista sul suo nuovo saggio “Per una nuova destra” edito da Piemme. Un colloquio inevitabilmente (e doverosamente) spaziato e allargato su altri temi, altri scenari. Tutti importanti. Grazie, Daniele.
Le recenti elezioni amministrative hanno espresso alcuni verdetti difficilmente contestabili: la fragilità delle candidature civiche, la disaffezione di una larga parte dei cittadini nei confronti dell’esercizio del diritto di voto e il radicamento, ormai storico, del centrosinistra nei grandi centri urbani e cittadini. Secondo lei, in vista delle prossime tornate elettorali, quale strada dovrebbe intraprendere l’alleanza del centrodestra per risultare più competitiva e convincente? Si tratta di contenuti e obiettivi da esplicitare con maggiore cura e attenzione o di autentiche modifiche alle proposte e soluzioni sin qui avanzate? La frenata è riconducibile a questioni di forma o di sostanza?
A mio avviso, il centrodestra è teoricamente maggioritario nel paese. Perché dico “teoricamente”? Perché, affinché quella potenzialità si realizzi, occorre che gli elettori di centrodestra vadano a votare: e per andarci, chiedono per un verso candidature credibili, e per altro verso – a mio parere – che lo schieramento alternativo alla sinistra si batta davvero per le proprie aree sociali di riferimento. A me pare che piccole imprese, partite Iva, autonomi e lavoratori del privato sentano dal centrodestra parole spesso giuste (a volte neppure quelle, purtroppo…), ma non vedano quasi mai una battaglia campale, una priorità assoluta dei propri partiti nel combattere la battaglia contro un fisco oppressivo. Nel mio libro Per una nuova destra indico alcuni percorsi: ma il principale è questo. La sinistra non ha bisogno di mobilitare il suo zoccolo duro; la destra, invece, sì, e deve farlo facendo vedere all’Italia del privato e degli autonomi, dei tartassati (costantemente insultati come “evasori”, peraltro), dei non garantiti, che qualcuno si batte per loro.
Nel mese di gennaio, scadrà il mandato del Presidente Sergio Mattarella. Molte e diversissime sono le candidature ventilate in questi mesi: Berlusconi, Prodi, Draghi, Bindi, Cartabia, Casini e altri.
Indipendentemente dai nomi proposti, secondo lei, quali caratteristiche dovrebbe possedere il nuovo Presidente della Repubblica? Vista l’importanza, sempre più crescente, del ruolo rivestito dalla più alta carica dello Stato, non sarebbe giunto, forse, il momento di intavolare una seria discussione, circa il passaggio verso un presidenzialismo alla francese o un premierato forte? I cittadini dovrebbero potere eleggere il proprio Presidente?
Propongo nel libro una chiara battaglia per il modello americano, presidenzialista, con un capo dello stato eletto direttamente dai cittadini e capo dell’esecutivo. Rispetto invece a questa tornata di elezioni per il Quirinale, dò al centrodestra due soli suggerimenti. Primo: da qui ad allora, devono occuparsi di temi concreti (tasse e lavoro), e non dare ai cittadini l’idea che l’agenda di palazzo prevalga su quella dell’Italia reale. Secondo: quando si voterà, consiglio che i tre partiti votino compatti ad ogni votazione. Se voteranno insieme, difficilmente saranno “aggirabili”. Se invece si faranno disarticolare, non avranno né un presidente eletto né (subito dopo) una coalizione.
Il leaderismo politico, soprattutto a destra, sta divenendo una caratteristica pregnante della politica nostrana. I segretari di partito sono chiamati a gestire, spesso in solitudine, complessità crescenti, e ad affrontare sfide epocali, anche alla luce del fallimento conclamato del mito di un mondo globale. La pandemia ha stremato sistemi economici e ridotto in povertà milioni di persone. I partiti, tutti i partiti, non dovrebbero investire di più nella formazione politica dei propri quadri, onde risultare di maggiore ausilio alle iniziative intraprese dalla governance del momento? I partiti, in sintesi, non avrebbero bisogno di riscoprirsi promotori di cultura, di competenze specifiche e di valori identitari?

Sarebbe bello, ma non mi pare che questi partiti abbiano né la voglia né le energie per farlo. Nel libro, non a caso, propongo tra l’altro un meccanismo più “americano”, con primarie sul modello statunitense (non certo con l’inganno all’italiana delle primarie del Pd). Quel meccanismo costringerebbe tutti a dare il meglio nella selezione dei candidati, coinvolgerebbe sempre i cittadini ad ogni livello territoriale, e garantirebbe freschezza e ricambio. Per non dire di tutto il tessuto intorno (fondazioni, giornali, riviste, circoli, associazioni) che garantirebbe una notevole vitalità anche culturale.
Lei non ama parlare della sua esperienza politica passata, mostrando una delicatezza e una finezza piuttosto rare di questi tempi. La cultura politica può prescindere dalla formazione sul campo? Nel suo caso specifico, nella sua professione di apprezzato e attento giornalista, l’avere conosciuto e vissuto, in prima persona, i meccanismi complessi della politica, come può averla aiutata nel suo avvicinamento ad una nuova professione? È possibile occuparsi di politica in ambito giornalistico possedendone soltanto una mera conoscenza teorica? Il giornalismo d’inchiesta si sta convertendo in opinionismo da stadio, senza esperienza e cultura?
Grazie per le parole gentili. Io non sono un giornalista iscritto all’ordine (per ragioni einaudiane e di libertà). Sono un commentatore presente trasversalmente su carta stampata, libri, radio, tv e canali social. Penso che – da ambo i lati: impegno politico diretto e attività di dibattito civile e culturale – servano per un verso persone con attitudine allo studio e all’approfondimento dei problemi (altrimenti si è solo delle comparse spazzate via al primo momento di difficoltà o di complessità), e per altro verso individui forgiati rispetto alla capacità di nuotare controcorrente, di tenersi fuori dai coretti conformisti. La solitudine può essere costosa, ma alla lunga è una polizza di assicurazione.