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Intervista a G. Adinolfi/ Contro le tecnocrazie non servono ideologie bottegaie e diatribe provinciali

di Francesco Marotta
24 Dicembre 2018
in Home, Pòlis
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Intervista a G. Adinolfi/ Contro le  tecnocrazie non servono ideologie bottegaie e diatribe provinciali
       

 

 

In questo periodo di stallo dalle idee confuse per ciò che riguarda l’Europa, abbiamo posto alcune domande a Gabriele Adinolfi. Lo scenario internazionale è in fermento. Sullo sfondo, vediamo l’approssimarsi delle nuove guerre economiche che vedranno i grandi poli contrapporsi per l’egemonia del libero mercato. L’Europa, corre un grande rischio. Occorre porsi alcune domande sul destino e sull’errata visione d’insieme del Continente, molto diversi da quello che sono realmente. Contro l’Europa capitalista e per un Europa di potenza e Amor Fati, Adinolfi traccia una via da percorrere e mette in guardia dai pericoli in cui potremmo incappare.

 

Benvenuto Gabriele. Iniziamo da una domanda non semplice. Ripensare a questa Europa è pressoché impossibile se non dalle fondamenta. Cosa fare ? Ma soprattutto da dove partire?

Io cambierei angolazione. Prima di “ripensare” l’Europa dobbiamo tornare al fanatismo nazionale rivoluzionario europeo che ci ha sempre caratterizzati. Ai meccanismi penseremo poi. I meccanismi dominano gli uomini quando questi sono, come oggi, né più né meno che  ventri d’insetti. Alla tecnocrazia senz’anima si oppongono ideologie antieuropeiste bottegaie e materialiste da quattro soldi: bisogna uscire da questo circolo vizioso recuperando volontà di potenza e Amor Fati. Fatta questa premessa che, però, è la vera condicio sine qua non, passiamo al come rivoluzionare l’Europa. Innanzitutto andando incontro alle opportunità storiche che, vista l’ostilità palese degli americani nei confronti dell’Europa unita e della Germania, ci offrono per la prima volta dopo quasi otto decenni la possibilità dell’indipendenza anche se per reazione. Poi assumendo la consapevolezza che la popolazione europea, in crollo demografico, non arriva al dieci per cento di quella mondiale ma possiede ancora una superiorità culturale e un potenziale economico che la mantengono in grado di assumere un ruolo nel nuovo gioco di potenze. Accogliere con entusiasmo queste rotture della banchisa che ci tiene imprigionati e congelati fin dalla sconfitta bellica deve coincidere con un’azione reale e concreta per lo sviluppo delle autonomie e, soprattutto, per la risposta corporativa al capitalismo che le stesse istituzioni europee rendono attuabili per chi ne abbia la capacità e la volontà. Vorrei che si tornasse ad assumere un’idea realmente alternativa al mercantilismo senz’anima e che si offrisse un modello rivoluzionario, invece di perdere energie e tempo in diatribe provinciali, ora germanofobe ora francofobe, che non solo non mettono mai in discussione la nostra subordinazione reale, che è quella angloamericana, ma neppure le logiche del capitalismo.
Per la prima volta, notiamo un certo scricchiolio per varie ragioni dell’asse franco-tedesco. Secondo te c’è la reale possibilità di cambiare gli equilibri per inserirsi in una leadership a tre ? E se così non fosse, qual è il ruolo che l’Italia può riuscire a ritagliarsi ?

Non credo. Non per colpa tedesca o francese (anche se i francesi di responsabilità ne hanno diverse) quanto per il nostro ritardo storico, per il nostro degrado mentale. Abbiamo fatto nostro il personaggio dell’italiano denunciato da Alberto Sordi e siamo andati a fare i furbetti per decenni, giocando tra i diversi players con una doppiezza conclamata, facendoci comunque scudo dell’ombrello americano. Oggi tutto questo non è più possibile ma i politici italiani – io direi gli italiani in genere – non riescono a guarire dalla sindrome di Arlecchino servo di due padroni e, quindi, continuano a disertare l’impegno che dovrebbero assumere. Questo cambierà davvero dopo che abbiamo fatto strepito per la prima volta con il nuovo governo? Non più di tanto ed è un peccato perché il ruolo italiano in Europa e nel Mediterraneo potrebbe essere decisivo.

Spesso hai partecipato con il Centro Studi Polaris e il think tank EurHope ad alcuni incontri a Bruxelles. Che aria tira nella stanza dei bottoni?

A Bruxelles non c’è nessuna stanza dei bottoni ma una fiera di mercato. Chi la occupa con consapevolezza porta a casa dei grossi risultati, ma la stanza dei bottoni, se ne esiste una, non è lì.

La Commissione Europea e Jean-Claude Juncker, sembrano più interessati a “Costruire un’Unione dei mercati dei capitali” con tutto ciò che ne consegue (Capital Markets Union) e al “Piano Juncker”. Cosa ne pensi dei due progetti che fanno acqua da tutte le parti ?

Fermo restando che si tratta sempre di logiche capitalistiche, come peraltro oggi lo sono tutte ovunque nel mondo, l’idea non è priva di senso. Che possa avere pieno effetto senza una sovranità politica ancora mancante è improbabile. In quanto al Piano Juncker sembra più velleitario e improvvisato che altro.

La Cina continua l’offensiva economica nei Balcani e vuole porsi come l’alfiere del libero commercio in Europa, contro i dazi statunitensi. Insomma, è iniziato il periodo delle guerre economiche. Qual è il tuo parere e cosa rischia l’Europa ?

L’Italia di sparire, l’Europa di spezzarsi, ma credo che la locomotiva politico-economica tedesca reggerà comunque e troverà soluzioni per una cooperazione con l’Asia difendendo i propri interessi. L’essenziale è che l’Italia faccia altrettanto, riannodando anche su semplice questione commerciale le intese dell’asse ghibellino. Così ne usciremmo bene sia come italiani sia come europei.

Non ti sembra che Bruxelles, invece di dettare un’agenda contro le deregolamentazioni dei mercati, sia orientata all’esatto contrario ?

Sì e allora? Io non so perché siamo passati dalla critica al capitalismo a quella della regolamentazione del capitalismo. È palese che certe regolamentazioni non vanno bene, ma anche la deregolamentazione è sbagliata e non solo dal punto di vista sociale e ideale.
La risposta è sempre in una Terza Posizione.

Tenendo conto che siamo quasi gli unici ad auto-produrre un americanismo in guisa se non  automatico, nonostante il soft power sia in netto declino ovunque, tranne la Germania ed i quattro del gruppo di Viségrad, tutti corrono a chiedere consigli a Washington. Qualcosa, apparentemente, sembra essere cambiato. Non ti pare ?

Trump sta esprimendo una posizione unipolarista americana in contrasto al tempo stesso con il classico polo atlantista angloamericano che con il polo russo-israeliano dell’ultimo quinquennio. Le sue affermazioni di potenza stanno sconvolgendo ruoli e posizionamenti. Premesso che non condivido la simpatia e l’ammirazione per Trump che si percepiscono nel populismo, sono contento che costui ci sia per le reazioni che può produrre, tra le quali soprattutto la creazione di un embrione di potenza europeo.

In ultimo, cosa ne pensi dei rapporti Europa-Russia ? È possibile un riavvicinamento grazie al ruolo del governo italiano? Non è semplice, visto che i tedeschi guardano da sempre ad Est come fosse il proprio giardino di casa…

Non credo che  al momento l’Italia sia in condizioni d’incidere più di tanto. Poi ci sono ministri, come la Trenta, che potrebbero indossare l’uniforme dei marines senza stonare. Però noto che la Russia, che fino al 2012 era stata filoeuropea e pro Euro e poi aveva incoraggiato le posizioni suicide e provinciali degli antieuropeisti, dallo scorso dicembre, per reazione alla politica di Trump, è tornata ad auspicare un’Unione Europea forte con cui intendersi anche per evitare di venire fagocitata dai cinesi. Un auspicio affermato dal think tank più vicino al Cremlino, per bocca di Trenin, poi dagli stessi Lavrov e Putin per finire con Andrei Kortunov, direttore del Consiglio Russo per gli Affari Internazionali, quindi autorevole voce della Nomenklatura che ha chiaramente affermato di preferire lo spazio vitale da Lisbona a Vladivostok a quello tra Shanghai e San Pietroburgo. Si è addirittura detto disposto a favorire l’adesione dell’Ucraìna alla UE in cambio di una cooperazione economica con l’Unione Eurasiatica. Possiamo sperare nella forza delle cose e anche nelle strette relazioni oggettive tra Germania e Russia. Ma sempre di un’Europa capitalista e materialista si tratterà se noi continueremo a smarrire la bussola. Partiamo di lì, quindi, dal recupero polare del Nord.

Tags: centro studi PolarisCinaDonald TrumpEuropaGabriele AdinolfiMediterraneoRussiaUSA
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