Allarme pomodoro cinese. Non è uno (purtroppo) uno scherzo. Mentre l’Italia si appresta a diminuire la produzione nazionale perchè ritenuta eccessiva dalle industrie di trasformazione, si assiste all’aumento dell’importazione dall’estero di una quantità di concentrato di pomodoro proveniente per piu’ della metà dalla Cina (che ha iniziato la coltivazione di pomodoro per l’industria nel 1990 e oggi rappresenta il terzo bacino di produzione dopo gli Stati Uniti e l’Italia).
Ecco i numeri. Scorrendo i dati Istat di gennaio relativi al commercio estero da Paesi extracomunitari si nota la crescita del 43% le importazioni di concentrato dalla Cina, ovvero circa 100 milioni di chili nel 2016, pari a circa il 20 per cento della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente. Per Coldiretti c’è il rischio concreto che il concentrato di pomodoro cinese venga spacciato come Made in Italy sui mercati nazionali ed esteri per la mancanza dell’obbligo di indicare in etichetta la provenienza.
Il pomodoro è il condimento maggiormente acquistato dagli italiani. Nel settore del pomodoro da industria – continua la Coldiretti – sono impegnati in Italia oltre 8mila imprenditori agricoli che coltivano su circa 72.000 ettari, 120 industrie di trasformazione in cui trovano lavoro ben 10mila persone, con un valore della produzione superiore ai 3,3 miliardi di euro. Un patrimonio da salvaguardare e valorizzare.
Le partite “fuorilegge” pericolose per la salute dei cittadini riguardano la presenza irregolare di residui antiparassitari, di aflatossine cancerogene o altre tossine oltre i limiti, infestazioni da insetti, livelli fuori norma di metalli pesanti o la presenza di Ogm proibiti in Italia e in Europa. Un pericolo per i consumatori che si estende a livello comunitario dove nell’ ultima campagna di commercializzazione è stato raggiunto il record di importazioni con l’ingresso in Europa di 1.380.000 tonnellate di riso lavorato, di cui 370.000 dai Paesi Meno Avanzati (P.M.A).
Ormai i due terzi delle importazioni non pagano più dazi a causa dell’introduzione da parte dell’UE del sistema tariffario agevolato per i Paesi che operano in regime EBA (Tutto tranne le armi) a dazio zero. Una misura che finisce in realtà per favorire le multinazionali del commercio senza ricadute concrete sugli agricoltori locali che subiscono peraltro lo sfruttamento del lavoro anche minorile e danni sulla salute e sull’ambiente provocati dall’impiego intensivo di prodotti chimici vietati in Europa.
L’Italia è ancora il primo produttore europeo di riso su un territorio di 237mila ettari con un ruolo ambientale insostituibile e opportunità occupazionali, ma la situazione sta precipitando e a rischio c’è il lavoro per oltre diecimila famiglie tra dipendenti e imprenditori di lavoro nell’intera filiera. Le importazioni sconsiderate di riso lavorato Indica dall’Oriente stanno facendo crollare la produzione in Italia dove le semine si spostano sulla varietà japonica con gravi squilibri di mercato che spingono nello stato di crisi anche questo segmento produttivo.