Un posto di rilievo e principalmente di riguardi negli anni del fascismo va assegnato agli esponenti nazionalisti, solidi culturalmente e lontani da progetti velleitari ed utopistici.
Certamente meritano di essere considerati in una luce loro adeguata i fratelli Alfredo (1875 – 1935) e Arturo (1876 – 1942). Il secondo, finora immeritatamente sottovalutato, ha avuto – novità quasi incredibile per quella pubblicazione – attenzione misurata ed abbastanza obiettiva nella recente (2017) “voce”, presentata nell’88° volume del “Dizionario biografico degli italiani”.
E’ da rilevare comunque che il “clima di caccia delle streghe” è durato a lungo e conserva spirito fazioso e aprioristico, ad esempio, negli ultimi 2 volumi (91° e 92°) dell’opera, ormai vicina all’epilogo, dell’Istituto della Enciclopedia Italiana.
I Rocco, per tornare ai due accademici napoletani, hanno avuto riservate nel “Novissimo Digesto Italiano” ricostruzioni biografiche (vol. XVI, pp. 248 – 249, 1969) null’altro che fogli di servizio burocratici, significativamente anonimi.
Ora, ben lontana da una rivisitazione anche timidamente favorevole, Alessandra Tarquini, allieva di Emilio Gentile, dedica al maggiore dei due circa 4 pagine (58 – 61). Dopo avere rammentato le prime tappe compiute in campo politico nell’area radicale, data al dicembre 1913 l’adesione all’Associazione nazionalista italiana, in cui rapidamente assume una posizione tra le eminenti. La Tarquini ne coglie, al di là dell’attività svolta in campo pubblicistico, un passaggio cruciale in un opuscolo del 1914 (Che cosa è il nazionalismo e che cosa vogliono i nazionalisti), in cui definisce “la nazione la forma più alta di espressione sociale della realtà contemporanea”.
Nel 1963 per uno studioso di riguardo, di orientamento ideologico assai lontano da quello di Rocco, quale Paolo Ungari, “la sua originalità nell’aver individuato, diversamente dagli esponenti della destra tradizionale, ancora convinti dell’efficacia dei mezzi di polizia di fronte alle collettività sorte dalla produzione industriale, una caratteristica della moderna società di massa, ovvero la funzione dell’organizzazione di classe come strumento per garantire stabilità alla compagine sociale”.
Attraverso la rivista “Politica”, nata nel 1918, e il suo Manifesto Alfredo Rocco e Francesco Coppola (1878 – 1957) hanno sottolineato – non dimentichiamolo davvero oggi – che il loro nazionalismo “derivava da una tradizione autoctona perché era figlio del pensiero politico italiano” , da Machiavelli a Vico agli economisti meridionali nella loro critica della filosofia della Rivoluzione francese.
Diviene poi uno dei più convinti sostenitori dell’intesa tra nazionalisti e fascisti e dopo essere stato sottosegretario in diversi dicasteri e per alcuni mesi (24 maggio 1924 – 5 gennaio 1925) presidente della Camera, è, fino al luglio 1932, ministro della Giustizia. Non esagera davvero la Tarquini nell’indicarlo come “l’architetto dello Stato fascista” soprattutto dopo il discorso pronunziato a Perugia alla fine dell’agosto 1925. Tra lo stesso anno ed il 1928 interviene con 3 progetti di capitale sostanza, quelli delle leggi sulla difesa dello Stato, quello sulla forma di governo ed infine della riforma in senso corporativo dello Stato.
In campo giuridico cura con il fratello l’allestimento dei codici penale e di procedura penale, rimasti in vigore per lunghi decenni anche sotto il regime democratico e poi mediocremente modificati. E’ nel 1932 Rettore dell’Università di Roma. Il 1° marzo 1934 è nominato senatore per ben 4 delle categorie previste nello Stato (la II, la III, la IV e la V). Muore il 28 ottobre 1935.
Nella commemorazione, tenuta a Palazzo Madama il successivo 10 dicembre, il presidente dell’assemblea rileva che “la grandiosa opera che si conchiuse con la pubblicazione dei nuovi codici penale e di procedura penale, onora l’Italia e il fascismo. Alfredo Rocco è nome affidato per sempre alla storia di quest’ epoca”. Da vecchio nazionalista Federzoni non può rinunziare ad esprimere la mestizia dei “vecchi compagni, che conobbero e amarono, durante i cimenti della vigilia, la bontà e fede intrepida di lui”.
Nella bibliografia varia e vasta, particolare rilievo meritano i Discorsi parlamentari, pubblicati nel 2005, con una prefazione dal cattedratico di diritto penale Giuliano Vassalli, già ministro della Giustizia socialista, dall’Archivio storico del Senato. I lavori di data più recente risalgono al 2010 (Alfredo Rocco: dalla crisi del parlamentarismo alla costruzione dello Stato nuovo, a cura di E. Gentile, F. Lanchester e A. Tarquini), al 2012 (G. SIMONE, Il Guardasigilli del regime. L’itinerario politico e culturale di Alfredo Rocco) e al 2015 (G. CHIODI Alfredo Rocco e il fascino dello Stato totale , in I giuristi e il fascino del regime (1918 – 1925), a cura di I. Birocchi – L. Loschiavo).
Arturo, vissuto politicamente sulla scia del fratello, come lui nazionalista, iscritto al PNF dal 1°giugno 1923, merita di essere annoverato tra i giuristi del regime. “Pur allineato, non può essere inquadrato tra i teorici del fascismo, anzi si può dire che fu il fascismo ad alimentarsi dei principi ideati da ideologi del suo rango”.
Anche in anni vicini (2009), insistendo inutilmente sull’ovvietà del carattere “fortemente autoritario”, non si è potuto fare a meno di riconoscere il valore “tecnicamente pregevole” dei codici.
Nel volume degli studi in sua memoria (scompare il 2 aprile 1942), apparso nel 1952, Giovanni Maggiore riconosce che “conversando con lui “ ci si accorgeva di avere di fronte “un talento giuridico fuori classe”.
In un lungo saggio (45 pagine), apparso sul I numero dell’anno in corso sulla rivista “Archivio penale”, Paola Coco ne ripercorre le tappe più importanti, fino a considerarlo, sulla scia della dottrina contemporanea o successiva, “il vero padre” dei codici. Dell’ “eminente giurista” la studiosa rilegge il volume L’oggetto del reato, poi abbondantemente utilizzato nell’opera di codificazione.