Di fronte alla mossa assurda ed inaccettabile fatta da un giornale, ritenuto e sedicente di destra, esibitosi in una irrisione, condita da insulti, dei meridionali e mentre Galli della Loggia lancia, fra le cento e cento fondate, accuse solo generiche e superficiali al globalismo e allo stesso tempo alla “protesta nazionalista – identitaria”, è necessario, direi doveroso, tornare a frequentare la galleria degli italiani qualificati e qualificanti.
Il primo esempio è recato dal napoletano Mariano D’Amelio (1871 – 1943). La prossima nota guarderà al filologo siciliano Antonino Pagliaro.
Dopo una esperienza di 6 anni (1899 – 1905), compiuta in Eritrea, sottoposta a norme identiche a quella in vigore in ambito nazionale, rientrato in Patria assume incarichi di crescente peso nella pubblica amministrazione. Provvede all’ordinamento della colonia libica e all’elaborazione della massima parte della legislazione di guerra.
Durante il ventennio fascista cumula nello stesso tempo la presidenza del Consiglio superiore della magistratura e della Suprema corte disciplinare. Raggiunge il grado di I presidente della Cassazione.
Nonostante le riserve espresse da un autorevole studioso, Arturo Carlo Jemolo, da sempre e sempre fazioso nei giudizi sul fascismo, è impossibile sottovalutare o addirittura negare il contributo di D’Amelio alla codificazione, ispirata in misura predominante dalla lezioni nazionalista. E’ anche “aperto sostenitore” del corporativismo. De Felice non esita a classificarlo come autentico ed indiscutibile grand commis .
Senatore dal 1924 e vicepresidente dell’assemblea dal 1929 al 1934, si colloca tra i più sostenitori più fervidi degli accordi lateranensi. Dirige dal 1934 al 1943 l’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, fondato nel 1924 come organismo ausiliario della Società delle nazioni. E’ merito del giurista, nato non solo al di sotto dell’Appennino ma anche del Garigliano, il varo, dopo l’uscita dell’Italia dalla Società delle nazioni (1936), nel 1939 di un nuovo statuto dell’istituto, basato sulla sua personalità giuridica, autonomo dalla Società tanto deleteria e degna progenitrice per la sua sterilità e per la sua inconcludenza dell’ONU. Nel 1940 gli Stati aderenti sono 26.
Tra le sue tante opere, in cui mostra una qualità organizzativa di rara altezza, il “Nuovo Digesto Italiano”, suddiviso in 13 volumi. In prima linea tra “gli elaboratori del diritto positivo”, svolge una parte “spesso preminente” nella riforma dei codici, avviata nel 1923 e conclusa nel 1942.
E’ lo studioso più prestigioso, guida della corrente fautrice della “eterna giovinezza” del diritto romano e dell’opera di codificazione del regime, contrapposta ed antitetica all’indirizzo tedesco delle leggi autonome.
In una comunicazione del 1941, oltre a riprendere, lodandoli, gli istituti tradizionali del diritto privato tipici del fascismo (le norme della famiglia), esalta gli aggiornamenti presenti in una legislazione, richiesta da una società impostata sull’ ideologia nazionalista dello “stato dei produttori”.
Segnaliamo infine una tragica coincidenza: il nome di Mariano D’Amelio indissolubilmente legato a quello della strage mafiosa di via D’Amelio. Al giurista napoletano è infatti dedicata la via di Palermo nella quale, il 19 luglio 1992 , perse la vita, assieme a cinque agenti della sua scorta, l’eroico giudice Paolo Borsellino.