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Ius soli Sì, Ius soli No. A perdere è solo la comunità di destino

di Francesco Marotta
18 Giugno 2017
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Ius soli Sì, Ius soli No. A perdere è solo la comunità di destino
       

 

 

La querelle sullo Ius Soli, continua e non si può non passare alla focalizzazione e alla definizione del problema. Per quanto riguarda gli antichi romani e gli scritti del giurista Gaio, risalenti al II secolo d. C., in particolar modo ai quattro libri di Istitutiones, è sorta nell’ultimo periodo una strana interpretazione. La cittadinanza iure sanguinis, l’unione in matrimonio ed il concepimento che includeva la trasmissione della condizione del padre al figlio e, nel caso in cui il concepimento, avveniva al di fuori del matrimonio a quella della madre, sono vittime illustri delle teorie “etiche” contemporanee.

Tornando ai tempi dell’antica Grecia e al decreto di Pericle del 451 a.C. sulla cittadinanza, notiamo quanto il concetto era molto più ristretto. Insomma, per essere cittadino, non bastava essere figlio di un ateniese, perché dovevano esserlo entrambi i genitori. Bene, dopo aver fatto un tuffo nel passato, non resta che esaminare la situazione attuale che verte nella totale indistinzione fra una lettura che orienta esclusivamente un determinato gruppo sociale, all’identità di una o più comunità, ad uno degli assunti dell’«ideologia dei diritti umani», improntato su di un codice etico e della norma.

Partiamo col dire che non è possibile ridurre il tutto, solo ad una legittimazione dell’identità nazionale. È in gioco qualcosa di molto più importante. Tutt’al più, possiamo invece spostare l’asse del ragionamento sull’opera di inclusione e sulle motivazioni dell’assimilazione dei flussi immigratori: la legge sulla cittadinanza, approvata dalla Camera a fine del 2015 e in attesa di passare al Senato, è strutturata su due parametri concernenti il «diritto legato al territorio» ed il «diritto legato all’istruzione».

 

Per capirne la mentalità, leggasi le dichiarazioni dei maggiori sostenitori dello Ius Soli come Cécile Kyenge ( “italiano chi nasce o cresce in Italia”) e di Beppe Servegnini, che rispondendo ad un lettore dalle pagine della rubrica “Italians” del Corriere della Sera (“Ius solis… Ius Salis del 17 giugno), pubblica una vignetta di Nicola Brusco che vede come protagonisti due italiani ed il botta e risposta sul ddl in questione : «Cosa ne pensi della Riforma dello “Ius Solis” ? Cioè ? Preferirei lo “Ius Salis” che venisse tolta la cittadinanza a chi non ha sale in zucca».

 

Dunque, non è sbagliato dire che nella deformazione dottrinale/distorsiva del diritto e della norma del territorio e dell’istruzione, sia anche in essere un interesse particolare: tutto è il contrario di tutto ed il capovolgimento dei concetti di residenza e habitat, assoggettati dal «neo-nomadismo» deregolamentato e dalla de-costruzione della «stanzialità», sono intercambiabili; a seconda dell’insofferenza verso chi ha una radice. Nell’evoluzione di questo ed altri ragionamenti, vige la razionalizzazione della mentalità di comodo e del voler essere quei “cittadini del mondo” che di per sè non significa nulla.

 

In secondo piano ma non da sottovalutare, sono le insipienze della sinistra che si ritrova ad eleggere le rivendicazioni degli immigrati, sostituite a quelle dei lavoratori, fortemente attaccata dai dirimpettai di destra che vedono in tutto questo, l’ennesima tematica da difendere per creare l’ennesimo tormentone politico, privo di un sentire del reale significato di cittadinanza. Poi, non dimentichiamo che nel 2015 i voti favorevoli sono stati 310, 83 gli astenuti e solo 66 i voti contrari… Qualcosa non torna e la corsa al “No Ius Soli” non è solo tardiva.

Cari saluti dalla terra di nessuno: dove eleggere un diritto ad personam, equivale al “rito del tè” ed al sentire, di una piccola ma coercitiva minoranza. La centralità della «normatività» che offusca le comunità. Eppure, chissà perché ​continuiamo a credere all’esatto opposto. Chissà…

Tags: cittadinanzaius soli
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