Kamala Harris è indubbiamente la vicepresidente eletta di quella che viene definita la più grande democrazia del mondo, ma chi è che ne ha determinato la candidatura, l’elezione e, soprattutto, le scelte? Secondo il periodico Forbes, che ha analizzato i documenti ufficiali della Federal Election Commission, la signora Harris è in assoluto il politico preferito dai miliardari a stelle e strisce. A contribuire, infatti, alla sua elezione ci hanno pensato ben 47 billionaire (come li chiamano a Washington) con alcune caratteristiche comuni: la quasi totalità di questi contribuenti traggono le loro fortune da Hollywood e dalla Silicon Valley. E tutto questo ha una ragione ben precisa.
Tutto ha inizio il 22 agosto 2014, nella stupenda località balneare per VIP di Santa Barbara, quando Kamala Harris sposa l’illustre avvocato ebreo di Hollywood Douglas Craig Emhoff. Quando diviene poi ufficiale il fatto che la Harris sarebbe stata il nuovo vicepresidente degli USA, Emhoff inizia a compiere il miracolo. Scatena una vera e propria campagna mediatica minimalista a suo favore (che dura ancora oggi) in cui egli stesso viene dipinto come “l’uomo che guarda lo sport in TV e che si dedica al lavoro e alla famiglia”, vittima inconsapevole del successo della moglie. Amy Roseberg (The Philadelphia Inquirer) ne sottolinea la quasi santità “Doug dovrà farsi avanti e aiutare il dottor Biden a introdurre tutte queste cose che ci sono mancate, come il rispetto e l’empatia, così il popolo americano potrà dormire la notte”.
La realtà è però un po’ (un po’ tanto…) differente. Vediamola. Doug Emhoff, dopo essere cresciuto nel New Jersey, frequenta l’Università della California a Northridge (dove consegue un Bachelor of Arts) e prosegue all’Università della Southern California, dove ottiene un Juris Doctor per svolgere la professione di avvocato. Inizia quindi la carriera come legale presso lo studio Pillsbury Winthrop Shaw Pittman (oltre 700 avvocati divisi in 20 uffici tra USA, Europa e Asia), specializzato in consulenze legali soprattutto nei settori petrolifero, tecnologico ed immobiliare. Si trasferisce quindi presso Belin Rawlings & Badal e, dopo aver fondato un proprio studio legale, si unisce alla Venable (studio legale con oltre 800 avvocati specializzato nell’industria dell’intrattenimento). In questa fase della propria vita professionale, Emhoff, allaccia i rapporti più stretti con quei miliardari che anni dopo finanzieranno la campagna elettorale della signora Harris. Si occupa principalmente di proprietà intellettuali, difendendo gli interessi dei principali magnati di Hollywood e della fiorente industria tecnologica della Silicon Valley. Da qui il salto verso la DLA Piper, una società di consulenza legale presente in 40 Paesi che ha fatto del finanziamento al Partito Democratico una delle sue attività principali. Basti pensare che DLA Piper è stato tra i maggiori contribuenti per l’elezione di Barack Obama, per la campagna elettorale di Hillary Clinton e, udite! udite! per l’elezione di Kamala Harris.
Dopo l’elezione della moglie, il signor Emhoff, continuando nella sua campagna mediatica per autorappresentarsi quale marito, uomo e professionista perfetto, ha rassegnato le dimissioni dalla DLA Piper. Poco male, in suo soccorso è arrivata la Georgetown University (con sede a Washington DC) che ha offerto al nostro paladino la cattedra all’interno dell’Institute for Technology Law and Policy.
Parlando di Emhoff, The New York Times ne ha scritto sottolineando “l’abilità di raccolta fondi e le connessioni nella comunità legale sia a Washington che a Los Angeles sono state viste come punti di forza” (per la carriera politica della moglie…).
In un’intervista rilasciata alla giornalista Jessica Goldstein di Marie Claire ha dichiarato: “Sono un avvocato; sono un ragazzo; sono un papà”… l’articolo si intitola “il buon marito”. Un marito che vale svariati milioni e tanti, tanti amici potenti come Marc Benioff (8 miliardi di dollari di patrimonio), Steven Spielberg (10 miliardi), George Lucas (10), Laurene Powell Jobs (21), Tom Preston-Werner (7,5), James Chambers (6,5) e molti altri…
La politica costa, negli Stati Uniti ancora di più e Kamala Harris, “paladina degli ultimi”, lo sa.
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