Gran conoscitore di uomini ed abile organizzatore, Massimo Anderson aveva individuato, reclutato e coordinato in ogni regione d’Italia giovani, chi per un verso chi per un altro, eccellenti, costituendo, come dicevamo noi, “un gruppo umano” di alto livello intellettuale e politico, polemicamente definito da taluni vertici del MSI, ” un partito nel partito “.
E’ vero che negli anni Cinquanta e Sessanta non mancava a destra la materia prima: c’erano anche allora i “quaraquaqua”, ma rappresentavano l’eccezione non la regola, come invece accade oggi. E giovava l’esempio e l’insegnamento di grandi personalità e personaggi del passato, da Ezio Maria Gray a Filippo Anfuso, da Ernesto De Marzio ad Araldo di Crollaranza, da Pino Romualdi a Nicola Galdo, a Giorgio Bacchi, a Giovanni Angioy, a Gianni Roberti, per citarne alcuni. Veri Maestri, che ispiravano rispetto e inducevano emulazione. Come rispetto ed emulazione sollecitava la generazione a cavallo fra la RSI ed il MSI, da Giano Accame a Primo Siena,da Enrico de Boccard a Roberto Mieville, da Fausto Belfiori a Fausto Gianfranceschi, da Enzo Erra a Piero Vassallo, da Alfredo De Felice a Cesare Pozzo, da Renato Melchionda a Piero Buscaroli, da Paolo Bartoli a Tazio Poltronieri: i cosiddetti “figli del sole”, che furono i nostri immediati istruttori e formatori. Istruttori e formatori, cioè , della classe dirigente di tutte le organizzazioni giovanili e, in parte , del partito stesso, fino a tutti gli anni Settanta. Gli ascendenti diretti, potremmo dire, di Massimo Anderson, Franco Petronio, Cesare Mantovani, il sottoscritto e i nostri migliori collaboratori, Gennaro Ruggiero, Marzio Modena, Enrico Di Luciano, Emilio Buccico, Giampaolo Manzini, Mimmo Mennitti, Enzo Jacopino, Ferdinando Perri, Adalberto Baldoni, Angelo Abis, Roberto Aledda, Marco Tarchi, Lillino D’Erasmo, Rodolfo Scopece, Luigi De Cociliis , Nino Parisi, Pietro Lentini, Innocenzo Cruciani, Alberto Rossi, Roberto Amorese e innumerevoli altri.
In quei decenni funziono’ il passaggio del testimone da una generazione all’altra! Al servizio d’un progetto “che conteneva in se’ potenzialmente tutta la modernità possibile implicita nella società contemporanea, mentre tracciava il transito verso la post modernità’, ma con la preoccupazione di non naufragare nel deserto delle idee e dei valori” (Tazio Poltronieri).
Naufragio purtroppo avvenuto con la generazione dei Fini e degli Alemanno, traghettati da un Caronte travestito nei gironi del carrierismo, dell’affarismo e del cinismo, nell’infernale mondo del potere fine a se stesso. Questo, però, e’ un altro discorso, che faremo altrove. Qui mi va di parlare dei Maestri. Il Maestro che ho conosciuto per primo e’ stato Franz Pagliani.
L’ho conosciuto prima d’incontrarlo e ammirato per ciò che ne diceva mio padre: del suo coraggio e della sua fierezza, mostrati anche in carcere, a Bolgna, dopo il 25 Luglio 1943.
L’incontro avvenne dieci anni più tardi, nei locali del MSI di Modena, dove io solo ero ansioso di accoglierlo, mentre i dirigenti gli intimavano di andarsene come “indesiderato”, per le sue gesta di Comandante della Brigata Nera Mobile “Pappalardo”. E non avevano mancato di allertare, dissociandosi da un alto esponente del partito, la stampa antifascista ( avessi capito già allora di quale panno era tagliata tanta parte della dirigenza missina!).
Data da allora la mia deferente amicizia con Franz Pagliani, presente e solidale in tutti i momenti importanti della mia vita privata e politica. Anche nella scissione di Democrazia Nazionale, cui non aderì , ma della quale comprese e condivise molte ragioni politiche e tutte le valutazioni morali.
Pagliani ha mostrato cosa significhi essere coerente senza essere nostalgico, come la fede non sia fanatismo e la fedeltà non sia immobilismo.
Fin dal processo che lo condanno’ a trent’anni assunse su di se’ l’intera ed esclusiva responsabilità delle azioni della sua Brigata Nera, ( altro che proclamare ai quattro venti di non avere sparato mai a nessuno perché troppo lontano dalla linea del fronte, come fa Almirante nella sua autobiografia!). E fino agli ultimi giorni, se ebbe un assillo, fu quello di non avere visto eseguita in tutto la sentenza del Tribunale di Verona, di cui fece parte per decisione del Duce in persona, che condanno’ i firmatari dell’ordine del giorno Grandi, il 25 luglio 1943. Ma disdegno’ sempre l’intransigenza verbosa ed il nostalgismo strumentale di chi ha contrastato ogni tentativo di modernizzare e perciò stesso vitalizzare la Destra.
Fu sempre con i giovani e per i giovani, che voleva scrivessero le nuove pagine del Fascismo italiano. Che non poteva e non doveva essere la copia di quello di ieri.
La fede ha segnato la sua esistenza: dall’andare volontario in guerra, meritando la medaglia d’oro al valore militare, all’adesione al Fascismo fin dalla prima ora; dalla rinuncia ad una splendida carriera universitaria e professionale,(fu il più giovane cattedratico alla Facoltà di medicina di Bolgna), all’assunzione di responsabilità anche durissime, a Ferrara dopo l’assassinio del Federale Ghisellini, in Emilia alla testa della più efficiente ed efficace unità combattente delle Brigate Nere, a Verona quale giudice del Tribunale Speciale.
Ma il fanatismo, “che nasconde”- diceva-“o l’idiozia o l’imbroglio e spesso ambedue”, lo disgustava e sdegnava. Disgusto e sdegno per i rigattieri delle reliquie, delle gestualità, dei ritualismi, coltivati in nome del “repubblichismo” e del “reducismo”, ma puntualmente finalizzati al seggio in Parlamento.
Fedele e’ stato al punto di considerare, quanto a se’, la tessera del MSI il duplicato di quella del PNF; ma intelligente, colto e onesto qual’era, stimolava gli altri a distinguere tra il prima e il dopo; a prendere atto che la guerra aveva chiuso un ciclo; ad impegnarsi a dare un’impronta propria al nuovo che si andava svolgendo sotto l’egemonia degli “altri”; ad essere la Destra di oggi con l’originalità e la vitalità con cui il Fascismo era stato la Destra di ieri.
Per questo non era gradito ai demagoghi missini di vertice e di base. Per questo e, ancora di più, per il muto e tagliente rimprovero che la Sua probita’ e la Sua povertà rappresentavano e tuttora rappresentano per l’affarismo e l’arricchimento di quelli.
Caro Franz Pagliani, con Te la Destra ha perduto l’ultimo Capo morale (Bologna, 15 maggio 1986).
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Al di là dell’omaggio a Franz Pagliani, di cui condivido il ritratto, mi è parso strano che nel lungo elenco di nomi fatti da Cerullo non figurino personaggi quali Rauti, Andriani, Graziani, Sermonti ed altri che potevano essere annoverati tra quelli che lui chiama “figli del sole” e comunque militanti e “maestri” di attivismo e di cultura. Non vorrei che la sua posizione politica di allora lo abbia spinto all’omissione…..
Scusi sig Mollicò; perchè nel 1995 ha seguito Fini invece dei maestri Rauti e Sermonti?
Pietro Cerullo, mi trova perfettamente d’accordo nel ricordo dell’indimenticabile Franz Pagliani che ha rappresentato per i giovani di allora (tra cui il sottoscritto) un esempio di onestà e di coerenza con le idee in cui aveva creduto ed aveva professato. Ho sempre criticato aspramente Fini per non avere scientemente conservato la memoria della destra con i suoi personaggi, come Pagliani ad esempio. E’ stato anche distrutto l’archivio del Msi. Ma AN senza radici non aveva prospettive. Così é stato. Purtroppo la nascita di Democrazia nazionale aveva fatto allontanare personaggi del mondo giovanile – di cui parla nel suo pezzo Pietro Cerullo- che avrebbero potuto e saputo guidare una destra pulita, efficace, propositiva. E Cerullo aveva tutte le capacità, intellettuali, umane, organizzative, dialettiche per guidarla.
Per l’esattezza Franz Pagliani fu decorato di Medaglia di Bronzo al V.M. (campagna d’Etiopia, 1936) e non di Medaglia d’Oro come afferma Cerullo.