Con l’ennesima sceneggiata di Berlusconi, che ha finto, a cose fatte, a Senato calpestato, di fare “opposizione” di fronte al paese, è stata varata una riforma ridicola, inutile e quindi del tutto “renziana” . Il foglio di proprietà della famiglia Berlusconi non ha perduto l’occasione per dimostrare al “premier”, inteso sempre come … ente collettivo, il proprio allineamento non formale ma sostanziale con il titolo “una maxi maggioranza per il suicidio del Senato”. Ma in realtà ed in verità questo provvedimento, di scarsa intelligenza, spacciato come salvifica riforma, è stato votato da una maggioranza striminzita, appena 179 su 315 componenti dell’assemblea, con le opposizioni assenti, eloquente segno della sua antidemocraticità .
Ma evitando di parlare delle vicende amministrative (grottesca la situazione di Roma con un candidato “bipartisan” di nessuna esperienza ma fortemente sponsorizzato), torniamo a ripercorrere con gli avvenimenti del 1949 la storia della Destra, intesa come MSI, dal momento che i monarchici non erano altro che un gruppo frammentato e discorde per questioni personalistiche, animato da nostalgismi e da un generico quanto scontato anticomunismo.
Verso il Movimento, presente, pur tra difficoltà consistenti, dal settentrione alle isole, si intensificano i pesanti provvedimenti repressivi del ministro dell’Interno Scelba. In una circolare del 14 aprile ingiunge interventi improntati “alla massima energia e fermezza, colpendo e reprimendo inesorabilmente ogni fatto, che possa rappresentare ritorno offensivo delle forze fasciste o neofasciste, il cui sviluppo e la cui azione provocatrice costituiscono un pericolo per le libertà democratiche e per la Repubblica”. Il 31 maggio, nel rapporto mensile, il prefetto di Roma Mario Trinchero, nel corso della sua carriera, collocato a disposizione dal settembre 1943 al febbraio 1944 e a riposo “per ragioni di servizio” dal governo fascista nello stesso mese, quindi non sospettabile di alcuna simpatia, non si trattiene dal rilevare che molti hanno ritenuto “politicamente un errore avvalorare le richieste dell’estrema sinistra e togliere dall’agone una forza che costituisce, nell’attuale momento, un contrappeso nelle azioni di piazza”.
Dal 29 giugno al 2 luglio si svolge a Roma il II congresso nazionale del partito, in cui, a fianco di affermazioni e di tesi, oggi anacronistiche, vengono affermate linee programmatiche ed obiettivi, o realizzati a decenni di distanza o ancora nei nostri giorni validi e qualificanti.
Si inizia con l’auspicio che “l’educazione delle nuove generazioni sia compito e responsabilità dello Stato, sì che la gioventù torni ad essere il cuore della Patria, non soggetta ai capricci e in balia dei “presidi sceriffi” e si continua con la richiesta del diritto di voto agli italiani all’estero.
Sono ancora più interessanti ed eloquenti le necessità sostenute, a partire dall’ abolizione delle “strutture regionalistiche, senza accedere alla concessione di statuti speciali, pur tenendo conto delle esigenze di un decentramento amministrativo” , per proseguire con la ricerca, purtroppo vana, dell’”indipendenza della Magistratura”, con la rivendicazione di un “capo dello Stato vera espressione della unità e della autorità della Repubblica al di sopra della imperante partitocrazia”, avvertita ben prima che se ne accorgesse Pacciardi, altra figura dall’immeritato credito a destra.
Non è assente – per concludere – l’ auspicio “di una concreta solidarietà europea, che innalzando le Nazioni oltre i loro confini e non demolendo i confini delle Nazioni – non sia strumento di larvata sopraffazione altrui come l’artificioso federalismo, cui manca ogni base morale”. La realtà dell’Unione europea è risultata del tutto amaramente antitetica per responsabilità primaria di due raggruppamenti, il popolare, tanto caro a Berlusconi, ed il socialista, geneticamente privi di senso dello Stato e insensibili all’ identità nazionale.