A Forio d’Ischia c’è una chiesa tutta bianca che sorge su un piccolo promontorio di scogli che con l’abside si affaccia al mare e con la facciata guarda al monte Epomeo, che se l’osservi bene è un vecchio vulcano spento, si riconosce ancora la cornice del cratere sulla sommità. Tutta l’isola ha origine vulcanica, nacque centomila anni fa, quando emerse il vulcano ed eruttò lava; sulle pareti ripide della montagna, si inerpicano vitigni che danno buon vino, custodito in cantine spesso scavate nella roccia. Gli abitanti per secoli si dividevano in contadini, in gran parte viticoltori usi alla fatica, e pescatori, gente di mare abituata a sfidare tempeste e marosi. Solo dal secolo scorso sorse il turismo termale, per merito principalmente delle intuizioni del cavalier Angelo Rizzoli, che con entusiasmo e lungimiranza fece sorgere i primi stabilimenti termali.
Entrando nella chiesetta alle pareti non si trovano dipinti, affreschi, quadri, che raccontano la storia della vita di Cristo, come è un po’ in ogni altro luogo di culto, ma solo testimonianze che parlano di storie vere, vissute, dalla gente del posto. Nei secoli passati, il prete celebrante quando raccontava il Vangelo si serviva dei dipinti e degli affreschi, come oggi ci si serve delle slides, delle diapositive, per illustrare gli episodi più salienti della vita di Gesù. I fedeli allora non leggevano, non c’era la tv, e per tenere a mente parabole e miracoli occorreva una spiegazione visiva realizzata con i dipinti sulle cappelle laterali. In questa chiesetta invece le storie sono tante, ognuna ha un oggetto per ricordare; ci sono alcuni modellini di velieri in legno, per ringraziare di una tragedia sfiorata in mare, ci sono gli ex voto, un dipinto molto naif della Madonna su una barca, forse un ringraziamento per un naufragio finito bene, i fiocchi rosa o azzurri dei bimbi appena nati, tele che raccontano di una famiglia in viaggio verso l’America , altre che fissano il momento di familiari raccolti accanto al letto di un giovane malato, tutto parla della vita di quella comunità nel corso degli anni.
In una cappella sulla sinistra spicca un crocifisso, di alcuni secoli fa, che venne portato al riparo all’ interno della chiesa da alcuni marinai, per preservarlo dalla furia delle ondate che flagellavano la fiancata della loro nave. Alcuni giorni dopo i marinai tornarono in chiesa per riprendersi il crocifisso e riportarlo sulla loro nave, ma per uno strano prodigio non trovarono alcuna porta per poter uscire e dovettero desistere dal tentativo; così il crocifisso rimase per sempre custodito nella chiesa. Ma ciò che colpisce riguarda la statua lignea su l’altare maggiore, raffigurante la Madonna che brandisce un bastone per colpire il demonio steso ai suoi piedi. La Madonna tiene un bambino, il piccolo Gesù, con un braccio, con il fianco nasconde a protezione un altro piccolo.
Di solito siamo abituati a vedere raffigurata la Madonna assorta nella preghiera, con uno sguardo mite e dolce; vederla scolpita che brandisce un randello per colpire il demonio, desta certamente qualche sconcerto. Anche qui c’è dietro una storia: una mamma, preoccupata dal figlio che riteneva indemoniato, chiese alla Madonna la grazia perché lo liberasse dal diavolo che era in lui. La Madonna pare abbia esaudito le sue preghiere perché il figlio tornò ad essere normale. Così la madre donò alla chiesa la scultura lignea della Madonna che a colpi di bastone abbatte il demonio. A questo punto immagino che un qualche compagnuccio lobotomizzato, con due sole opzioni di pensiero per qualsiasi argomento, griderebbe scandalizzato alla strumentalizzazione “fascista” di un’immagine sacra: la Vergine con il manganello!
In realtà la Madonna, anche quando è raffigurata in preghiera in una posa che pare statica, si presume che sia sempre attiva, dato che riceve milioni di richieste di grazie al giorno, e dovrà pur darsi da fare per esaudire qualcuna di queste. La Madonna è sempre una madre e come tale difende i suoi piccoli e ricorre a qualunque mezzo per farlo. La mitezza e la dolcezza non sono rassegnazione, non significano accettazione dei soprusi altrui. In un’isola i cui abitanti sono abituati alle sferzate del mare ed alla durezza della fatica sul fianco del monte, temprati dalle forze ostili della natura, questi non possono che concepire una Madonna che li difenda con ardore e decisione.
In un’epoca caratterizzata da continui arretramenti, dalla paura di esibire il presepe per non offendere sensibilità altrui, dalle remore a esporre il crocifisso in luoghi pubblici, dall’abolizione della parola Natale sostituendola con una insipida “festività”, in un mondo dove ovunque tu vada devi scusarti di essere cristiano, vedere la Madonna in un atteggiamento non remissivo nei confronti del Male, desta stupore ed un certo compiacimento. Alla fine la chiesa del Soccorso racconta solo semplici storie di vita; ma tutti noi siamo un incrocio di storie.