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La città dei 15 minuti. Utopia o possibilità?

di Carlo Alberto Zaccheo
18 Febbraio 2022
in Home, Società&Tendenze
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La città dei 15 minuti. Utopia o possibilità?
       

L’affascinante idea secondo la quale puoi svolgere le tue attività quotidiane in città, in un tempo di 15 minuti dalla tua abitazione, è dell’architetto franco-colombiano Carlos Moreno professore alla Sorbona e consulente della sindaca di Parigi Anne Hidalgo, che nel 2020 che l’ha inserita nel suo programma elettorale: “la ville du quart d’heure”

Il concetto per la verità non è nuovo, infatti la teoria “dell’unità di vicinato” venne presentata per la prima volta a Chicago nel 1923, in un concorso internazionale di architettura, e deriva dal concetto americano “neighborhood”. La proposta era stata concepita affinché i nuovi quartieri delle metropoli industriali statunitensi avessero una propria identità comunitaria. Nel 1929 a New York fu poi elaborato il concetto di città-regione con la presentazione del “Regional Plan of New York and its environs” per razionalizzare un’area di 14.000 Km/q con già 9.000.000 di abitanti, su una densità di 643 abitanti per km/q.

Il risultato è stato tutt’altro che soddisfacente. Addirittura c’è chi parla di sostanziale fallimento del Piano a causa di due ordini di motivi: la realizzazione intensiva delle autostrade e la carenza totale o quasi dei servizi che dovevano nascere contestualmente ai nuovi quartieri secondo il criterio “della città in 15 minuti” ovvero, della città vivibile, a misura d’uomo, con una migliore qualità della vita a tutto vantaggio delle relazioni sociali e della salute.

Nel frattempo l’idea è rimbalzata in Europa e in Italia nella versione Moreno ed è stata fatta propria da molti sindaci di grandi città o aree metropolitane ed anche da città di medie dimensioni. Ma vediamo innanzitutto di cosa si tratta nello specifico “la ville du quart d’Heure”. Secondo l’urbanista, “occorre rivedere la visione della città suddivisa, oggi, in sezioni specializzate”, e “operare per una radicale riorganizzazione delle infrastrutture e delle forme di governance”, ovvero riorganizzare la vita quotidiana dei cittadini nell’ambito del tempo libero, del lavoro, della spesa, della sanità, della scuola, della cultura, dei luoghi di aggregazione. Quartieri autosufficienti in cui ogni servizio dev’essere raggiungibile a piedi o in bicicletta per evitare, il più possibile, l’utilizzo dei mezzi pubblici, delle auto private e il servizio taxi, riducendo così al minimo il traffico, l’inquinamento e migliorando sensibilmente la qualità della vita, il livello di socialità, la salute. 

Affinché ciò avvenga è necessario rivedere la struttura urbanistica ereditata dal Novecento quando i quartieri sorgevano ognuno con uno specifico scopo: per gli uffici, per i divertimenti, per abitare. Un modello di città che ha portato i cittadini a passare ore in macchina, o sui mezzi pubblici, sottraendo tempo libero, riducendo la comunità, e, di conseguenza, accentuando l’individualismo con tutte le conseguenze che esso comporta a livello psico fisico.

Una bella idea. Almeno sulla carta. La realtà sono sterminate periferie realizzate con l’intento speculativo, i quartieri ghetto, l’edilizia di necessità, l’inerzia e la complicità degli enti locali deputati al controllo del territorio e al rilascio delle licenze. Da qui il mio pessimismo sulle teorie della “città in 15 minuti”.

Come possiamo pensare di vivere il quotidiano in città in 15 minuti quando milioni di italiani vivono a decine di chilometri di distanza dalle città stesse? Qualche esempio: le enormi distese urbane lungo la SS Latina – Roma (ma potremmo continuare fino al Garigliano) oppure attorno la SS 18 Battipaglia Agropoli. E poi le città di 40/50mila abitanti o i piccoli comuni (spesso di grande interesse storico, culturale ed artistico) sorti in collina e successivamente dilagati nella pianura, cioè nella periferia. In quest’ultimi la differenza della qualità della vita tra gli abitanti che vivono nel centro storico collinare e quelli che vivono nella zona bassa è abissale. I primi, una minoranza, con una età media certamente superiore ai secondi, in generale vivono una vita di qualità, i secondi vivono no. Certo non manca loro il super mercato, il bar, il distributore di benzina, ma non manca neanche l’aria inquinata, la forte mobilità che trascorrono giornalmente in auto in solitudine, senza luoghi di aggregazione dove socializzare.

Marbella, per citare un esempio che riguarda la Spagna, è un comune situato sulla Costa del Sol. In inverno ci vivono 140.000 abitanti, in estate, grazie o a causa del turismo di massa raggiunge i due milioni di abitanti! L’aeroporto più vicino a Marbella è Malaga e dista 53 chilometri da Marbella. In ogni caso due milioni di turisti raggiungono Marbella con l’auto; e quali servizi può offrire ai turisti una città strutturata, non sono sicuro neanche di questo, per 140.000 abitanti! Dove è la qualità della vita? I due milioni di turisti che ogni anno affollano Marbella pensano veramente di essere tutti in vacanza?

Secondo un sondaggio della IPSOS per Legambiente, agli italiani piace l’idea della “città in 15 minuti” ma, al contempo, la maggioranza degli intervistati ha risposto che il progetto non è realizzabile. Tutt’al più potrà essere realizzato nella zona C cioè nei centri storici o poco più oltre. L’ammirevole idea, insomma, rischia di restare un semplice slogan e tutt’al più potrà essere realizzato solo nel cuore delle città.

Concludo con una provocazione: se finalmente si iniziasse a pensare di demolire, decostruire, abbattere e semmai ricostruire solo il necessario?

Tags: sociologiaurbanesimo
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