Grazie al forte segnale lanciato da Francesco Giubilei su “Il Giornale” la Commissione europea ha dovuto ritirare il decalogo che voleva eliminare riferimenti alla religione, in particolare al Natale, e persino del semplice «Signore e signori». Probabilmente solo un inciampo. “I burocrati della lingua, che la Storia ha insegnato essere i più pericolosi, hanno accettato di fare un passo indietro. Riscriveranno un documento ambiguo che pretendendo di garantire «il diritto di ogni persona ad essere trattata in maniera uguale» finisce per negare la possibilità di ognuno a manifestare la propria diversità. Quando l’ossessione per l’inclusione si trasforma in una miope cancellazione”. (Luigi Mascheroni, C’è una speranza contro chi taglia radici, 1. 12.21, il Giornale).
È stata vinta una battaglia, così come per il decreto Zan, ma la guerra è ancora lunga. “Dobbiamo saperlo. Non sarà facile preservare le tradizioni, poter dire «padre» e «madre» al posto di «genitore 1» e «genitore 2», salvaguardare il Natale o continuare a scrivere senza asterischi. Visti i tempi, la tutela delle supposte minoranze potrebbe alla fine travolgere la maggioranza. Dio non voglia. Ammesso che si possa usare la parola «Dio»”.
Le 32 pagine, dal titolo, Guidelines for Inclusive Communication della commissaria maltese Helena Dalli (già molto discussa nelle sue isolette, come ricorda persino il Corriere del 1 dicembre) illustra bene il grado di follia raggiunto dagli alfieri del politicamente corretto.
Nelle raccomandazioni di queste Linee guida per una comunicazione inclusiva della neolingua tecnocratica compare quella di non usare la parola Natale nei propri auguri. Quindi da preferire non più “Buon Natale”, ma “Buone feste d’inverno”, o semplicemente “buone feste”. Così nessuno si offende.
Spesso nei suoi interventi, Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica, diceva che «c’è chi sega il ramo dell’albero su cui è seduto». Immaginiamo un uomo, gambe penzoloni nel vuoto, che inizia lentamente, ma inesorabilmente, a segare il ramo dalla parte del tronco. Alla fine della sua opera, nel momento in cui considererà con soddisfazione e orgoglio il risultato del suo sforzo, cadrà inevitabilmente nel vuoto.
“È quanto accade nell’Occidente un tempo cristiano sull’onda del politicamente corretto e, più di recente, della conseguente “cancel culture”, che è insieme cultura della cancellazione delle proprie radici e cancellazione della cultura stessa. Cancellare il Santo Natale vuol dire cancellare 2000 anni di civiltà, e quindi rendere impossibile la comprensione anche di quanto si vede guardandosi intorno in una qualsiasi delle città europee che abbia un centro storico risalente al Medio Evo o anche successivo”. (Aurelio Carloni, Cancellare il Natale? No grazie, 30.11.21, alleanzacattolica.org)
Di questo passo per caso si vogliono cancellare anche “le università e gli ospedali “inventati” nel Medio Evo da santi e cattolici sapienti, spinti dalla curiosità della ragione e dalla voglia di chinarsi sui più fragili per prendersene cura e per assisterli nella malattia e nel bisogno?”.
E Marco Gervasoni su Lanuovabq.it ci mette in guardia: non illudetevi ritorneranno alla carica, “Anzi, alla carica sono già. In fondo quel documento era piccola cosa, raccomandando ai funzionari dell’Ue l’uso di un determinato linguaggio già presente, rispetto alla situazione reale, all’interno dell’Europa e anche fuori. Già da tempo, ad esempio, si rischia di essere cacciati o sanzionati da alcune università statunitensi o inglesi se si parla di Natale a lezione, mentre i presepi in Francia decisi dai singoli comuni sono spesso chiusi d’autorità dai magistrati “per disturbo alla quiete pubblica. Inoltre, tutti ricordiamo lo scorso anno come si fosse innescato, anche in Italia, un dibattito se fosse “sicuro” in pandemia festeggiare il Natale e molti avevano asserito che no, meglio la salute del mero corpo che quella dello spirito, della comunità e della tradizione”. (Marco Gervasoni, Natale cancellato, è il regime “inclusivo” (non solo dell’Ue), 1.12.21, Lanuovabq.it)
Peraltro non solo questione di UE, Nel Regno Unito, scrive Celia Walden sul Telegraph di lunedì, “Natale è già stato cancellato da anni”, dai documenti dei vari governi, tutti conservatori, “per non offendere le minoranze religiose”, mentre una mail di qualche giorno fa di un funzionario del Parlamento a tutti i membri citava “un avviso dell’Ufficio di Gabinetto”, cioè di Boris Johnson, “che non dovremmo usare la parola Natale perché il governo intende essere inclusivo e alcune religioni non lo celebrano”.
Torniamo a Gervasoni. “La realtà è che se volete l’Ue, l’Ue è questa: come la Rivoluzione francese per Clemenceau era un “blocco”, da cui non si poteva separare una parte buona da una cattiva, così non puoi avere la “sovranità europea” senza l’ideologia del regime diversitario e inclusivo”.
Inoltre, precisa il professore, “essere un progetto politico ed economico, è un progetto culturale, continuazione delle utopie del razionalismo illuministico continentale del Settecento, della Rivoluzione francese, delle utopie socialiste dell’Ottocento (quanto sansimonismo c’è in ogni respiro dell’Ue!) e della socialdemocrazia del Novecento. Secondo alcuni studiosi, come Legutko, i punti di contatto tra il progetto Ue e quelli del comunismo sarebbero poi altrettanto evidenti. Questa è l’Ue, bellezza, cosa ben diversa da come la immaginavano De Gasperi, Adenauer, Schuman, ma anche De Gaulle, Thatcher e Craxi – Jean Monnet no, la voleva esattamente così, scristianizzata, secolarizzata e laicizzata”.