Che l’Artico sia diventato il teatro di una nuova competizione tra potenze globali e regionali è cosa nota, in particolare per quanti – non troppi in verità, almeno nel Belpaese – seguono con attenzione le vicende dell’economia del mare e delle risorse energetiche. Il cambiamento climatico in atto, caratterizzato dall’innalzamento delle temperature medie, consente oggi un più facile accesso ad una regione da sempre ostile alla presenza umana.
In terra questa maggiore accessibilità si traduce nella possibilità di un accesso più facile alle risorse minerarie ed energetiche custodite dal sottosuolo dell’estremo nord russo, ma è in mare che l’impatto del riscaldamento dell’Artico è maggiore. La riduzione dei ghiacci consente già ora di utilizzare la rotta del Mare del Nord – come la definiscono i russi, entro la cui Zona Economica Esclusiva artica la stessa ricade – non solo tra giugno e novembre, ma per buona parte dell’anno. E nel prossimo futuro le condizioni per la navigazione dovrebbero ulteriormente migliorare. Si apre così una rotta di collegamento tra Europa ed Asia più breve di quella che si sviluppa attraverso l’Oceano Indiano ed il canale di Suez.
Le conseguenze, ovviamente, non sono solo di carattere economico, ma soprattutto geo-politiche. Il rapporto russo-cinese si è ulteriormente rinsaldato, sia grazie al rafforzamento dell’interscambio commerciale attraverso la rotta artica (non è un caso se la prima nave ad affrontare nel mese di febbraio -del 2021 – la tratta tra il porto siberiano di Sabetta e uno scalo della provincia cinese dello Jiangsu sia stata una gassiera), sia sotto il profilo della collaborazione economica, con Mosca alla ricerca di capitali cinesi da investire nello sviluppo delle infrastrutture produttive e logistiche delle regioni artiche. Ovviamente anche dall’altra sponda si guarda con attenzione all’evoluzione climatica nella regione: diversi studi lasciano intravedere la possibilità dell’apertura di nuove rotte sul versante canadese ed americano.

In questo contesto è di tutta evidenza il valore economico e geo-strategico della regione. Tanto da aver dato luogo ad una vera e propria militarizzazione della stessa, inevitabile corollario delle pretese territoriali, in particolare relativamente all’estensione della propria ZEE, da parte delle nazioni che sull’Artico si affacciano. È senza dubbio la Russia – per l’evidente motivo indicato in precedenza – la nazione che più ha lavorato in questa direzione, dando avvio alla realizzazione nella regione siberiana di una bolla A2/AD – aree cui è inibito l’accesso all’avversario grazie a difese stratificate, in una sintesi estrema e, ovviamente, semplificata -. Gli Usa, dal canto loro, guardano con rinnovato interesse alle basi in Groenlandia, basi che hanno visto il dispiegamento nel 2021 anche di un bombardiere B-1. Ma è sul mare che la sfida tra i Paesi interessati va progressivamente intensificandosi.
Una sorta di piccola corsa agli armamenti navali non priva di sorprese, non ultima il ritardo della superpotenza a stelle e strisce. La rivalità tra US Navy e US Coast Guard sulla titolarità a gestire operazioni in ambito artico, dunque la flotta dedicata, ha contribuito a ridurre al minimo le navi specializzare disponibili: ad oggi solo due i rompighiaccio operativi, gestiti dalla guardia costiera. Una situazione a cui si è cercato di porre rimedio recentemente: un piano per la costruzione di sei rompighiaccio è stato avviato, con le prime consegne previste per il 2024.
Più attenta alla presenza nel mare artico la Royal Canadian Navy, che già nel 2007 ha lanciato un programma per l’acquisizione di unità rompighiaccio, programma che nel 2015 ha portato alla firma di un contratto per l’acquisto di sei pattugliatori – classe Harry Dewolf – da impiegare nel controllo della ZEE. A queste unità – impiegabili anche per piccole operazioni anfibie, grazie alla capacità di imbarcare una cinquantina di militari – se ne aggiungeranno altre due, disarmate, destinate alla guardia costiera. Anche la piccola Norvegia rinforza la flotta della propria guardia costiera: nel corso di quest’anno è prevista l’entrata in servizio della prima unità della classe Jan Mayen – realizzata nei cantieri Vard, parte del gruppo Fincantieri -, un pattugliatore d’altura di 9.800 tonnellate e 136 metri di lunghezza progettato e attrezzato per operare anche nelle acque polari.
In questa corsa navale nell’Artico in prima posizione c’è, senza dubbio, la Russia. Dall’era sovietica Mosca ha ereditato un asset pregiato che, pur non rientrando nella categoria del naviglio militare, ha un impatto non da poco nella corsa all’Artico: una flotta di rompighiaccio nucleari. Alle unità sovietiche superstiti si sono aggiunte le nuove realizzazioni: nel 2020 è stato consegnato l’Artika, unità cui dovrebbero seguirne altre cinque della medesima classe. Sempre nel 2020 è iniziata la costruzione del Lider, unità capoclasse di una nuova serie di rompighiaccio ancora più prestanti rispetto ai predecessori. Anche sul versante delle unità a propulsione convenzionale la Russia punta a rinforzare la capacità di operare nelle acque artiche: nel 2016 sono stati ordinati due pattugliatori rompighiaccio, armati di cannone e missili. Negli stessi anni altre unità rompighiaccio – disarmate – sono state realizzate per la marina russa. Il servizio marittimo della Guardia di Frontiera della Federazione Russa schiera otto unità della classe Ivan Susanin – risalenti progettualmente agli anni ’70 ed armati con cannoni da 76 e missili – e le più recenti unità della classe Purga, più piccole e meno armate rispetto alle precedenti. Recentemente sono state ordinate due unità simili ai pattugliatori rompighiaccio della marina, probabilmente con armamento più leggero.
In questo quadro articolato ed in continua evoluzione si inseriscono anche due “intrusi”: Cina e, sorprendentemente, Italia. Pechino, come sommariamente visto in precedenza, guarda con grande interesse alle potenzialità offerte dalla rotta artica e di conseguenza ha, in anni recenti, rinforzato la propria componente navale destinata ad operare nelle acque del grande nord: nel 2016 sono entrati in servizio due unità Type 272, unità rompighiaccio che si aggiungono a navi similari ma di più vecchia concezione e ai due grandi e moderni rompighiaccio operati dall’Istituto Statale di Ricerca Polare.
E l’Italia? Pur non annoverando alcuna unità espressamente concepita per operare nelle acque artiche, la Marina Militare ha lanciato nel 2020 un programma triennale – “High North” – che ha portato un’unità ad operare nel teatro in esame per campagne di ricerca e studio. La nave impiegata è l’Alliance, unità espressamente concepita per operare nelle zone polari, realizzata per la Nato. Grazie ad un accordo espressamente siglato nel 2015, dal 2016 l’Alliance è equipaggiata con personale della Marina Militare.