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Home L'Editoriale

La Destra del Nord dopo il referendum. Che fare?

di Marco Valle
23 Ottobre 2017
in L'Editoriale
2
La Destra del Nord dopo il referendum. Che fare?
       

Ho sempre detestato l’assioma “il privato è politico, il politico è privato”.  Cazzate. Raccontarsi è cosa volgare. Come vivo e lavoro, cosa faccio, come mi diverto e, per di più, cosa voto sono fatti miei e non debbo renderne conto a nessuno. Figuriamoci poi se debbo giustificare (a chi, poi…?) la mia scelta sul referendum lombardo-veneto. Ma questa volta faccio un’eccezione. Ho votato il referendum e molti amici di Destra.it — lombardo-veneti e non — mi hanno chiesto le ragioni della mia scelta.  Allora tocca spiegare.

Per me, figlio dell’esodo istro-dalmata, la Patria non è la nazionale di calcio o una canzonetta. La Patria è mio padre esule nel ’45, la Patria è la difesa di Trieste dal bilinguismo negli anni Settanta, la Patria sono i nostri soldati perduti in guerre lontane, la Patria sono gli imprenditori che si svenano per salvare dalle tasse la loro azienda (e i posti di lavoro), la Patria sono le intelligenze che debbono emigrare per trovare un lavoro serio e retribuito.  La Patria è una cosa seria. La Patria, quella vera, nulla c’entra  — qualcuno avverta la Meloni, il PD, i sinistrosi, gli “unitaristi” da bar e i neo-borbonici o gli orfani del papa-re o del kaiser — con l’attuale struttura centralista e tanto meno i referendum.

La costruzione della Patria è, da un secolo e mezzo,  cosa complessa, difficile, sofferta e ancora irrisolta. Per capirlo basta rileggere le tante pagine del processo risorgimentale, quella formidabile rivoluzione nazionale italiana che scosse gli equilibri dell’intera Europa. Con idee innovative. Già nel 1849  — come ha ricordato su Destra.it Raffaele Zanon —  il “doge” della rivoluzione marciana, Daniele Manin, intravedeva nel fuoco dell’assedio di Venezia  un’idea di Stato plurale. Poi, nel 1860, Cavour, il pater patriae, con il valtellinese Luigi Torelli, altro personaggio straordinario quanto dimenticato, immaginarono  a loro volta una struttura federale, rispettosa delle diversità e delle identità.  Purtroppo il conte venne a mancare e la destra storica — “onesti notabili senza genio” come l’ottimo Volpe stigmatizzò —  optò per il centralismo di stampo bonapartista. Vista la fragilità dello Stato unitario, fu una soluzione opportuna e comoda, ma di corto respiro. Morti Crispi e Giolitti, finito il fascismo — “tutto nello Stato, niente contro Stato” etc… —  venne la repubblica e negli anni ’70 il regionalismo. Tanti, troppi parlamentini con tanti e troppi deputatini, burocrati e cortigiani. I risultati, non entusiasmanti, sono noti. Frammentazione, clientelismo, ruberie, apparati inutili, ritardi, sprechi. La “questione meridionale” a cui si è sovrapposta, inevitabilmente, la “questione settentrionale”.

Torniamo all’oggi. Il referendum del Lombardo Veneto — un’area di 15 milioni di persone, il cuore pulsante dell’economia nazionale, il centro della modernità italiana — spariglia le carte;  i risultati della votazione (non trascurabili e non eludibili) obbligheranno da domani tutte le forze politiche a ragionare sul futuro e a ridiscutere l’assetto statuale, economico e fiscale dell’imperfetta costruzione nazionale. Al nord non vi è nessun rischio Catalogna (figuriamoci…)  ma all’Italia tutta servono altre architetture, altri equilibri. Anche, come ha ben spiegato Renato Besana su “Libero”,  per sostenere lo sviluppo del Sud.

Il Lombardo Veneto è un campo di lavoro terribilmente impegnativo in cui s’intrecciano vecchi problemi  e nuovi panorami della rivoluzione tecnologica.  Per destra politica settentrionale, attualmente impegnata solo in campagne residuali e/o subalterne ai salvinani, potrebbe essere l’occasione per ritrovare finalmente una qualche centralità. Non ci vorrebbe molto. Per iniziare, basterebbe rileggere lo schema presidenzialista di Almirante e Franchi oppure il progetto delle macro-regioni del professor Gianfranco Miglio e i documenti sul federalismo di A.N negli anni Novanta (qualcuno ricorda il convegno di Verona?).

Sarebbe poi utile ascoltare le Università, i centri studi, gli analisti, le categorie. Confrontarsi, studiare, pensare  per poi sviluppare un progetto innovativo e tentare di convincere. Un compito arduo, difficile ma ben più appagante del ripetere vecchi slogan per inseguire seggi oggi sempre più improbabili.

 

Tags: Camillo CavourDaniele ManinfederalismoGianfranco MiglioLombardiaRisorgimentounità nazionaleVeneto
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Commenti 2

  1. Gabriele Baraldi says:
    5 anni fa

    Concordo assolutamente, ma ho molti dubbi sul fatto che il referendum possa essere l´impulso che obbligherá a ridiscutere l´assetto statuale.
    Ha giustamente fatto riferimenti storici ma l´Italia di oggi non é la Venezia del Doge, non abbiamo un Cavour, l´Italia di oggi é quella di Renzi, Berlusconi, Salvini, Maroni, ma soprattutto chi chiede autonomia sono le popolazioni che votavano in massa D.C..Temo che costoro non sappiano cosa possa significare Patria e che il referendum sia solo un peraltro velleitario tentativo di salvarsi dal naufragio di una Patria che esiste solo nei nostri cuori.

    Rispondi
  2. Valter Ameglio says:
    5 anni fa

    Confrontarsi, studiare, pensare e progettare si …….magari!
    Marciare (quando si è già marciti) prossimo appuntamento , poi qualche strapuntino da Rosatellum e poi di nuovo blah blah blah .
    Meno male che il Ministro con la pelata almeno c’è

    Rispondi

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