«Signor Capitano», iniziava così una lettera firmata di suo pugno, che Indro Montanelli indirizzò a Erich Priebke. Una missiva poco nota, che ai tempi delle sentenze contro l’ex ufficiale nazista, alla fine sfociate nell’ergastolo, non trovò spazio sui giornali.
La missiva mi fu consegnata nel 1997, durante un’intervista con l’ex ufficiale nazista, quando era ancora agli arresti domiciliari nel convento francescano di Frascati. Montanelli l’aveva scritta con la sua macchina per scrivere a Cortina d’Ampezzo, come si legge nell’intestazione. La data non è riportata, ma nelle prime righe il giornalista si dispiace per la «sentenza insensata» di condanna. Secondo l’avvocato di Priebke, Montanelli la scrisse nella primavera del 1996. In quell’anno Priebke fu condannato a 15 anni. Nel 1998, infine, arrivò l’ergastolo confermato in Cassazione. Solo nel 2009 ottenne il permesso di uscire saltuariamente di casa, dove era ai domiciliari. «Da vecchio soldato, e sia pure di un Esercito molto diverso dal Suo, so benissimo che Lei non poteva fare nulla di diverso da ciò che ha fatto», scrive Montanelli. E lo fa ricordando che il massacro delle Ardeatine è costato la vita «a due miei vecchi e cari amici». Il colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo, medaglia d’oro alla memoria, che aderì alla Resistenza e Filippo De Grenet. I due furono arrestati assieme e torturati.
Montanelli, per non sminuire la portata della rappresaglia purtroppo usanza comune durante la guerra, ricorda a Priebke che nel ’44 si trovava prigioniero dei tedeschi nel carcere milanese di San Vittore. «Dove potevo subire la stessa sorte toccata agli ostaggi delle Ardeatine», scrive. Il giornalista pensava che Priebke, prima o dopo, sarebbe tornato libertà. E concludeva la missiva ricordando all’ex ufficiale del Terzo Reich «che anche fra noi italiani ci sono degli uomini che pensano giusto”»e che non hanno paura di dirlo ad alta voce o di scriverlo sui giornali «anche quando coloro che pensano e vedono ingiusto sono i padroni della piazza». Prima di firmare la missiva di 18 righe Montanelli conclude, «Auguri, signor Capitano».
Fausto Biloslavo, Il Giornale, 12 ottobre
LA STORIA VIENE SCRITTA DAI VINCITORI CHE GIA’ AI TEMPI DI BRENNO MOSTRAVANO DI ESSERE SENZA PIETA’ NE’ GIUSTIZIA: IL GRIDO “VAE VICTIS” RISUONA NELLE PAGINE DELLA STORIA E DEVE FARCI RIFLETTERE: ARRENDERSI NON SERVE MAI,MEGLIO MORIRE SUL PEZZO….
un soldato è ancheun essere umano e per tanto può optare a scelte diverse se la sua coscenza lo ritiene opportuno, gli ordini , se vanno contro la propria morale , possono essere contestati o contrastati sesi ha il coraggio di farli, non ci sono scusanti per un massacro nemmeno per un soldato che ha solo eseguito un ordine se l’ordine è così insensato.
Sfido chiunque a contestare un ordine tedesco nella consapevolezza che contestarlo vuol dire suicidarsi. Bello parlare a posteriori, seduti sopra una sedia. Bello
E vinceresti la sfida, ma saresti condannato a “vivere” con la tua ombra che ti insegue fino alla fine. Seduto come ora sulla poltrona ,schiavo del lusso e dall’adipe sarei oggi anche io sopraffatto ma in campo sceglierei ,come lo definisci tu, il suicidio.