Sono da tempo consapevole che quello scampolo di libertà, che ci è stato temporaneamente concesso con la creazione delle numerose piattaforme sociali, è destinato a venire via via ridotto, in spregio persino a qualsiasi legge vigente.
Avevo già osservato come il manganello elettronico di FaceBook si era inizialmente scagliato, con chirurgica precisione, contro pagine e profili afferenti al movimento ‘Casa Pound’ e a suoi esponenti, allo scopo di privarlo di visibilità, usando la sempiterna accusa di ‘Fascismo’, pur di ostacolarne un’azione politica, evidentemente sgradita, però poi la stessa tecnica è stata usata anche contro chi di CP era avversario, e certamente non simpatizzante dell’esecrato ‘Ventennio’.

Anche vari ricorsi alla Magistratura italiana, sfociati nella condanna della piattaforma sociale creata da Mark Zuckerberg, non hanno ottenuto effetti pratici vista la sproporzione tra chi rivendica (a pieno titolo) i propri diritti e chi ha la forza (economica) di resistere quasi indefinitamente a qualsiasi sentenza o intimazione avversa.
La presenza su questo social, dunque, è possibile purché ‘l’occhio di Sauron’ non fissi lo sguardo su di voi, e a costo di muoversi cautamente tra miti e leggende (anche fondate) sull’esistenza di una schiera di segnalatori (pagati) e delatori (volontari) coadiuvati però da un diabolico algoritmo in grado di censurare in tempo reale immagini catalogate come sgradite o inadatte, ma soprattutto basato su parole-chiave che richiamino argomenti sgraditi.
Qualche buontempone, già da tempo, usa sostituire – in alcuni termini – asterischi al posto delle lettere, per ingannarne la lettura automatica e non incappare nella relativa censura.
Stratagemma che pare, anche, il più delle volte funzionare ma che a me sembra eccessivamente ossequioso con l’algoritmo e i suoi utilizzatori.
Infatti se posso accettare (e ho accettato) che mi si imponga la loro rieducazione, bacchettandomi di tanto in tanto le dita che spingono sui tasti del computer, per spingermi a usare la loro rozza neolingua dove sono banditi termini come ‘frocio’ o ‘negro’, in favore di espressioni considerate petalosamente politicamente corrette, mi è però impossibile subire in silenzio la censura di idee e principi.
Poche ore dopo che avevo proposto sulla mia pagina FB (che io considero una sorta di ‘rassegna stampa’ che seleziono a favore di chi ha la ventura di imbattervisi) la notizia che Matteo Renzi, col pretesto di tutelare la salute pubblica, propone di tracciare i movimenti delle persone (tanto per iniziare di quelle positive al tampone del coronavirus) per mezzo dei segnali che manda il loro telefono cellulare ma anche tramite i pagamenti del bancomat, ho ricevuto un ‘avviso di garanzia’ da parte della psicopolizia Facebucchiana che non ha, evidentemente, gradito il mio pur felpato commento: “Con la scusa dell’emergenza, la prima vittima del virus continuerà a essere sempre più la nostra libertà…”.
Neanche volendo potrei trovare un esempio più lampante di aggressione alla ‘facoltà di critica’.
Se il Ministero della Verità ‘zuckariano’ cerca di oscurare ogni voce difforme alla narrazione ufficiale delle cose, è però compito degli uomini liberi denunciare ogni tentativo e combattere affinché tutti possano avere voce e riaffermare i propri diritti.
Anche senza ricorrere a remoti e lacunosi studi giuridici, sono in grado, infatti, di rendermi conto che nessun algoritmo può emendare l’articolo 21 della Costituzione (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”) e costringermi a rinunciare al mio pensiero.
La mia risposta in merito non potrà che essere la stessa che diede Papa Pio VII davanti all’arroganza di Napoleone: non debemus, non possumus, non volumus.
Anche perché la difesa delle idee è un elemento determinante e irrinunciabile per chiunque, come recita il celebre aforisma di Ezra Pound: se un uomo non è disposto a rischiare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui.