Il giudizio sulle prove scritte del progetto di riforma dell’esame di maturità da varare nel 2019 si muove, inevitabile e doveroso, tra l’allucinante e l’agghiacciante.
Il parere è tanto più grave e perentorio se posto in parallelo con l’unica altra modifica di segno decisamente positivo, la sacrosanta eliminazione del “quizzone” meccanico ed alogico, estraneo alla tradizione culturale della nostra scuola.
La novità più consistente si registra negli scritti, ridotti al numero irrisorio di 2. Il primo resta (fino a quando?) il tema di italiano con 7 tracce (altro mistero) ma solo 3 tipologie. Ed è questo il nodo centrale, cruciale quanto determinante per il giudizio critico senza esitazioni. Si dovrà scegliere tra l’analisi del testo letterario selezionato “tra due autori dall’Unità d’Italia ad oggi”, cancellato il tema storico ad “una riflessione critica” su tematiche di attualità, ed infine, eliminati il saggio breve e l’articolo giornalistico, ad “un testo argomentativo” ricavato da un lavoro letterario breve o da un editoriale.
L’Italia vive in un momento, in cui la maggioranza dei cittadini ha scelto di sconfessare il passato anche recente, concentrando l’attenzione su scoppiettanti quanto fragili provvedimenti. E questa è la motivazione alla base della decisione dei solerti burocrati del ministero di viale Trastevere di rilanciare formule magiche, in effetti ed in sostanza solo retoriche, enfatiche, ammaliatrici e incantatrici, quali “riflessioni critiche” e “testo argomentativo”. Esse non sono altro – detto con franchezza – che la riesumazione dell’armamentario ideologico trito e polveroso marxista e “liberal”.
Oltre alla storia, il cui studio appare sempre più inutile perché offrirebbe mille motivi di riflessione anche sul presente, risulta circoscritta in termini cronologici angusti, la letteratura. Vengono privati di interesse, di attenzione e di riguardo non solo Dante, Boccaccio, Petrarca, Ariosto ma ecc. ecc., ma anche i poveri Foscolo, Leopardi, Manzoni ecc. ecc., attivi fino alla soglia del periodo unitario. L’attenzione sarà dunque concentrata sui soliti Ungaretti, Montale, Pavese, Moravia, Pasolini, Eduardo con l’ immancabile apporto femminista della Merini, della Morante e della Ginzburg e l’ovvia discriminazione di D’Annunzio e l’altrettanto inevitabile utilizzazione, tra i viventi, di Saviano e Benigni. E’ di questi giorni il giudizio tranchant, manifestato da un autorevole critico, come Guido Davico Bonino, su quasi tutti gli autori oggi in voga, destinati ad essere presto dimenticati.
Sconcerto di analoga intensità è provocato dall’orientamento espresso sulla seconda prova scritta, che “potrà riguardare anche più discipline specifiche di ogni indirizzo”. Valgano gli esempi, tanto confusi quanto disorientanti, del liceo scientifico, in cui “potrebbero esserci domande di matematica e fisica” e del classico, i cui allievi potrebbero essere chiamati contestualmente a quesiti di greco e latino.
In sede di consuntivo si può rilevare si tratti della solita riforma all’italiana, destinata a rimanere a mezz’aria, dal momento che gli altri temi presenti nel progetto, dei crediti e della valutazione, riportano alla frase di un cantante degli ultimi decenni, quindi potenzialmente disponibile per una prova d’esame, “tutto il resto è noia”.
Non essendoci nessun progetto Paese come può esservi attenzione per settori cardine, come l’istruzione. Andiamo avanti vivendo alla giornata con la politica che non ha fiato se non per i suoi appuntamenti elettorali