Un polverone di asini che litigano e barili che si rompono. Per rappresentare a un ignaro lettore lo stato dell’arte del nostro comparto marittimo è indispensabile fare ricorso alla cultura popolare e a questa massima esemplare. Una massima figlia della saggezza popolare e del dizionario della vita, che rende appieno l’idea di un comparto segnato da una congerie di comandanti che litigano, mentre le conseguenze della zuffa si ripercuotono a carissimo prezzo sui soldati. Un’amara regola di vita riscontrabile in concreto nel quotidiano di ognuno, una di quelle lezioni che insegnano nel più spietato dei modi che ad avere la peggio nelle dispute dei potenti sono sempre i più deboli, a maggior ragione quando non hanno nessuna responsabilità.
E di colpe i lavoratori marittimi italiani non ne hanno di certo, relegati da anni di solitudine e di indifferenza all’irrilevanza e al silenzio da un sistema che sembra concepito apposta per impedire loro di contare, di fare sentire la propria voce, di pesare sulle decisioni, come se avere la piena conoscenza del proprio mondo fosse una tara e non una ricchezza da sfruttare al momento della definizione delle scelte e delle strategie collettive da parte delle autorità. Uomini e donne esposti senza tutela alle offese quotidiane di una burocrazia iniqua e ostile, piaga insanabile di un comparto che attende da anni una tutela capace di restituire alla nostra marineria la sua dignità ferita.
A conti fatti, il dato saliente del presente della nostra economia marittima è la completa assenza di un governo. Un’assenza che è all’origine dell’attuale situazione di stallo generalizzato che fa a pugni con lo sfrontato presenzialismo della recente campagna elettorale, quando candidati di ogni colore e schieramento si sono contesi a suon di promesse e slogan fragorosi i voti dei lavoratori del comparto, scomparendo dall’orizzonte un istante dopo la chiusura delle urne. A una tale sfrontata demagogia si aggiunge poi in modo rischioso la mancanza di un governo in uno stallo istituzionale che qualche anima temeraria ha provato a paragonare a quello recente attraversato dalla Germania, e che fa il paio con i vistosi segni di rallentamento mostrati in modo inequivocabile dalla nostra economia, nella mancanza per di più di un regime consolidato di finanziamento degli appalti e di misure di spesa pubblica indispensabili per dare quantomeno un briciolo di tregua e di respiro a un’economia per troppi versi ancora asfittica, e pertanto bisognosa come non mai di un sostegno dello Stato.
Un governo atteso al varco di una lunga serie di appuntamenti ineludibili come la nuova legge di bilancio e il tanto annunciato riordino del sistema fiscale e delle politiche di contrasto alla povertà, per non parlare delle numerose misure attuative che ancora attendono il varo definitivo dell’esecutivo, dal sostegno al risparmio e alle imprese e alla web tax. Misure che potrebbero incidere in modo rilevante sul gettito dello Stato come quelle relative al settore dei giochi e delle scommesse, ancora in attesa di un decreto attuativo che potrebbe valere da solo sino a un miliardo di euro di nuove entrate. Risorse a disposizione del Paese nell’immediato, eppure congelate sine die dall’inerzia della attuale situazione politica.